martedì 1 giugno 2010
Non abdico al mio ruolo di rompicoglioni
C’è una cosa che più di tutte deve far riflettere sui “nostri” politici. E, dopo aver riflettuto, deve far ridere, ma ridere forte, come quando vedi qualcosa di banale, a cui magari non avevi mai fatto caso prima, e non riesci a smettere di ridere finché ti fanno male le guance e i muscoli facciali si irrigidiscono in spasimi incontrollabili.
La cosa che mi fa più ridere è il modo in cui i politici parlano. E non mi riferisco ai grossolani errori di italiano, agli strafalcioni lessicali e sintattici, alle inflessioni dialettali che mettono in dubbio perfino ciò che viene detto. No.
“Da quando presiedo il Senato, ho sposato la causa della terzietà” dice Schifani, non memore dei tempi in cui un giorno sì e l’altro pure invadeva ogni tipo di mezzo di comunicazione per diffondere il verbo berlusconiano ma soprattutto per infamare chiunque non si chinasse davanti al re. E che si chinasse mostrando al re il di dietro, si capisce.
Uno dei più spettacolari esempi di stupidità lessicale è Frattini, l’inutile ministro degli esteri che non dice mai un cazzo, ma lo dice con un enfasi e con una tale scena da far apparire ridicolo perfino il nulla.