mercoledì 22 dicembre 2010

Nel nome del politico


Uno ce la mette tutta per non essere populista, anche se, a dire il vero, non ho mai capito come un popolano possa essere populista. Ma a parte questo: uno ce la mette tutta, almeno io lo faccio. Perché verrebbe voglia di dire che la politica fa schifo, che sono tutti uguali e via dicendo. Affermazioni in parte vere ed in parte no, slogan triti e ritriti. Sennò che populismo sarebbe. Ma c'è una cosa che mi dà ai nervi. Giuro. C'è una cosa che mi fa proprio perdere la testa, ragazzi.

Questa cosa è: chiamare per nome i politici.
Leggo sui giornali un continuo Silvio, Gianfranco, Umberto, Stefania, Walter, Massimo.
Ed ogni volta che leggo mi viene da pensare: ma perché?
Certo, ci penso. E quando ci penso, so che non è giornalismo, questo. Non voglio dire che ogni volta uno debba dire: il presidente del consiglio dei ministri onorevole Silvio Berlusconi, o il presidente della camera dei deputati onorevole Gianfranco Fini. Berlusconi. Fini. A me basterebbe così, mi piacerebbe proprio se fosse così.
Invence no, non è giornalismo. Chiamare uno per nome te lo fa sentire vicino, come se fosse una persona che conosci. Un tuo amico, insomma. Ecco. Ogni volta che leggo Silvio e che vedo quella faccia di catrame, penso che qualcuno crede che sì, è uno di noi, nonostante sia l'uomo più ricco e potente d'Italia, è Silvio, vedi?, è uno di noi. Tant'è vero che lo chiamiamo per nome.

A me questa cosa mi fa davvero ridere. Giuro.

Poi faccio un passettino più in là.
Come mai non leggo mai Pierluigi o Antonio?
Leggo Nicki. Leggo Matteo. Ma Pierluigi e Antonio, per dire, non l'ho mai letti.
Vorrei capire perché.
Il problema è che ho paura di capirlo, e quindi faccio finta di nulla: in fondo, non è importante. Forse.


giovedì 16 dicembre 2010

Siamo uomini o Scilipoti?


Da quando il Lino Banfi dei vecchi tempi è entrato in politica, tutto mi sembra più roseo.
Come, non è Lino Banfi?
Ah, no, ho sbagliato?
E chi è questo qui, che imita il parlamentare grazie al quale non è caduto il governo?


martedì 14 dicembre 2010

Oggi


Chissà cosa direbbe, oggi. Chissà quali sarebbero le sue scandalose affermazioni. Quelle che ti fanno incazzare, subito, e che poi ti fanno pensare e alla fine dire che magari non aveva ragione al cento per cento, ma al novantacinque sì.

Chissà come avrebbe commentato, oggi, i telegiornali della sera, del pomeriggio, il flusso continuo di immagini e voci e foto che ci investe. Chissà, forse avrebbe continuato ad attaccare la televisione come mezzo di comunicazione antidemocratico. Oppure sarebbe andato dentro quelle immagini.

Chissà cosa avrebbe detto, oggi. Chissà se ancora una volta si sarebbe schierato dalla parte dei poliziotti e dei celerini, come fece a Valle Giulia.

Non si può sapere cosa avrebbe detto oggi, Pier Paolo Pasolini, guardando i ragazzi che si fanno picchiare in piazza. Sarebbe stato dalla parte del finanziere che impugna una pistola? No, non si può sapere da che parte sarebbe stato. Perché uno sguardo come il suo non si può imitare, non si può raggiungere. E' come quando si vive a valle e si pensa di sapere cosa ci sia in cima alla montagna. Noi siamo la valle, lui era la montagna. Quello che vediamo noi, al limite, è un po' di nebbia densa e cupa.

A Valle Giulia, disse, erano i celerini i figli dei proletari, non gli studenti. Per questo lui stava dalla parte dei celerini.

Ma oggi?

Quale sarebbe la tua parte, oggi, Pier Paolo Pasolini?
In piazza ci sono i figli di quelli che si picchiavano e che morivano a Valle Giulia.
Oggi tu saresti dalla parte dei ragazzi.
Ed anzi.
Oggi, forse, inneggeresti alla violenza contro questa Italia.
Oggi.

Oggi.


martedì 7 dicembre 2010

Davvero

Di questi tempi non è semplice. Nulla è semplice. Almeno così dicono.
Da un blog che parla di politica ci si attenderebbe di più.
Da un blog che parla di diritti ci si attenderebbe di più.
Da un blog che parla di libri, film e tutto il resto, ci si attenderebbe di più.

Ma non è semplice.
Di questi tempi, nulla è semplice.

Davvero.


giovedì 11 novembre 2010

E' GIA' SERA... Il mio libro (e io) in Palazzo Vecchio


E pure questa è andata. Bella presentazione, ieri, in Palazzo Vecchio. C'era gente, nonostante una grandinata inverosimile a mezzora dall'inizio. Di quelle che stroncano le gambe, e che ti ci fanno pensare un milione di volte prima di uscire di casa. Mettici pure che è più facile arrivare a Timbuctù che nel centro del centro di Firenze. Ma a parte questo, tutto bello.

Doveroso ringraziare Roberta Capanni, Alessia e Loretta del MIO editore, Romano Editore. E poi Federico Gelli, Piero Luigi Vigna, Giorgio Morales, Eugenio Giani, Margherita Ghiandelli, Giovanna Maggiani Chelli, che tante belle parole su me ed il mio libro mi hanno voluto regalare. Grazie a Mario Spezi. Grazie al Comune di Firenze. Grazie all'associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, grazie a Patrizia e a Luigi, grazie a Walter. Grazie a tutti quelli che sono venuti ad ascoltarci e che avranno la pazienza e la curiosità di leggere questo umile capolavoro che è il mio libro, "E' già sera".

In questi giorni di interviste a radio, televisioni e giornali, c'è una domanda che ancora nessuno mi ha rivolto. Sfrutto quindi il mio imbarazzante conflitto d'interessi e, in veste di giornalista, chiedo a me stesso, in veste di scrittore: secondo te, vale la pena di combattere una guerra persa in partenza?

La mia risposta è sì. La mia risposta è che il valore di una battaglia culturale, intellettuale, sociale, sta nella battaglia stessa, non tanto nell'esito che essa avrà. Certo, sarebbe bellissimo sapere che si scrive un libro sulla mafia o su qualsiasi altro aspetto che non va, e tutto va a posto. Purtroppo le cose non stanno così. Eppure, io credo che si debba avere la spregiudicatezza di combattere. Anche se non servirà, o servirà poco. La battaglia è il fine, da questo punto di vista, non il mezzo. Credo che ognuno dovrebbe avere il coraggio di fare qualcosa. Qualcosa che non sia sperare che sia sempre qualcun'altro a giocarsi tutto. Siamo pronti ad ammirare gli altri, mai a muoverci in prima persona.

Perché? Perché non concepiamo più il sacrificio per qualcosa in cui crediamo. Perché l'unico sacrificio è quello per il nostro orticello. Fuori dal nostro steccato, al limite, gettiamo qualche parola. Solo questo. E invece no. Invece dobbiamo tornare a credere. Dobbiamo avere il coraggio di capire che siamo parte di qualcosa di più del nostro giardinetto del cazzo. Questo è ciò che ho imparato scrivendo il libro. Non voglio insegnare nulla a nessuno, non è il mio compito, sempre se non si parla di insegnare a me stesso. E ho deciso di ascoltare per poi raccontare. Ed è stato ed è bello.

Perché qui sta la vittoria: nella libertà di combattere. La libertà, che è ormai un'etichetta partitica. E che invece è una parola meravigliosa. L'egoismo, l'individualismo, non sono poi così diversi dal concetto di mafia. Ci precludono strade che vorremmo o potremmo percorrere. L'egoismo e la paura ci rendono meno liberi. Combattere una guerra, anche (o forse, soprattutto) persa, è libertà. Perché ho scritto questo libro? Perché sono libero, perché sono un intellettuale, perché ho imparato a nuotare.

"I Beatles hanno insegnato qualcosa? Hanno insegnato a nuotare. E allora... Nuota".


mercoledì 27 ottobre 2010

E' GIA' SERA - GIANNI SOMIGLI - ROMANO EDITORE



Ommioddio, ho scritto un libro... No no no, fermi, fermi: ommioddio, è uscito il mio libro!

Ebbene sì, ledisengentelmen, è uscito il mio libro d'esordio. "E' già sera", pubblicato da Romano Editore: un romanzo che parla di un argomento semplice, leggero, ironico. La mafia. Anzi, la mafia a Firenze e in Toscana. Perché c'è, qui, la mafia, amici e amiche. Più invisibile dell'Uomo invisibile, ma c'è. Ok, questo lo sanno in tanti, non è che ho fatto la scoperta del secolo. Seriamente: la mafia, o meglio, le varie criminalità organizzate, sono presenti in Toscana come in altri territori del Centronord. Questa è una cosa nota; meno nota è la storia di come esse siano arrivate in Toscana, di come abbiano prosperato, di come sia la situazione attuale. Con l'aiuto di magistrati importanti, ho ripercorso le tracce di Cosa Nostra, cercando di capirci qualcosa. Fino all'apice della mafia in quanto tale, l'evento meno mafioso della storia italiana: la strage dei Georgofili, raccontata però non da chi spaccia teorie, bensì, una volta tanto, dalle vittime.

"E' GIA' SERA" è un romanzo che parla anche di amori giovanili, di giornalismo, di giornalisti. Che si conclude, inoltre, con un'appendice speciale: una raccolta di ricordi della notte della strage dei Georgofili da parte di "fiorentini illustri" come Margherita Hack, Oliviero Beha, Federico Gelli, Valdo Spini, Sandra Bonsanti, Giorgio Morales, Leonard Bund, Erriquez della Bandabardò, Marco Vichi, Enzo Fileno Carabba, Vannino Chiti...

"E' GIA' SERA" - Gianni Somigli - Romano Editore, ottobre 2010


venerdì 30 luglio 2010

Sento puzza di qualcosa

Capita anche questo in questo strambo paese, in cui il senso del ridicolo è diventato ormai un limite da superare senza imbarazzi. Capita che gli orfani sinistri assistano alle comiche finali (cit.) del centrodestra ed esultino perché qualcuno, finalmente, ha le palle di dire e fare cose eclatanti contro la persona Berlusconi e il modello politico da lui rappresentato. Comunisti che esultano e appoggiano fascisti. Sì, ok, ex fascisti. Va bene così? Sì, ok, va bene così. Sarà, ma a me pare che si diffonda nell’aria una certa qual puzza, che sembra di bruciato ma che potrebbe rapidamente palesarsi per l’olezzo di qualcosa d’altro, qualcosa di più organico del bruciato. Che gli inquisiti debbano fare un passo indietro, almeno agli occhi di chi scrive, sembra un sillogismo che sta alla base di una società democratica. Quello che mi chiedo, a parte il motivo per cui Fini e i suoi lo scoprano, anzi, riscoprano solo adesso dopo il teatrino di questi due anni, è: perché se Verdini è indagato deve fare un passo indietro, perché Caliendo indagato deve fare un passo indietro, e invece l’indagato/inquisito/condannato per eccellenza, cioè Berlusconi, non dovrebbe fare un passo indietro? Perché i finiani non chiedono anche a lui, in nome della legalità, di chiarire dove abbia preso i fondi per creare un impero e da lì tutte le domande che sono rimaste aleggianti fino ad oggi senza nessuna risposta? C’è qualcosa che non mi torna, in tutto questo. Sono solo mosse politiche, per cui si attaccano i vassalli per colpire il capo, perché un attacco frontale al capo sarebbe un rischio troppo alto? Oppure è solo un altro giochino di cui si scopriranno gli effetti tra qualche anno? Chi lo sa. Certo, mi rendo conto che sono domande da disilluso. E che forse sarebbe più salutare, anziché farmi domande, dare risposte. Un po’ come Minzolini, insomma, che del senso del ridicolo fa strage brandendo editoriali al limite del surreale. Chissà se Ferrara e Strakuadagno, che a rivedere i filmati della conferenza di Verdini sembravano veramente Stanlio e Ollio ma meno simpatici, si sono inferociti e faranno esposti all’ordine per il comportamento di Minzolini, ovviamente in nome del giornalismo. Chi lo sa.

giovedì 29 luglio 2010

1


Uno si stira le dita per scrivere un post sulla conferenza stampa di ieri di Verdini, per scrivere un commento e tutto il resto. Poi, ripassando quello che è successo, si ricorda di Stracquadanio o come diavolo si chiama e di Ferrara che con la grazia di un trattore in vetreria ha fatto pacatamente conoscere la sua opinione in merito a una collega. Poi, uno legge i siti e viene a sapere che alla riunione di quattro ore di ieri dove si è deciso come uccidere politicamente Fini e i suoi, era presente Ferrara, probabilmente in veste di giornalista libero quale lui è. Poi uno legge che sempre lui, Straquadagno o come diavolo si chiama, vuol fare un esposto all'Ordine perché la collega (?) Fusani faceva domande che lui ha definito, con la tipica solidarietà tra colleghi e orgoglio giornalistico, "cazzate". Solo che l'Fnsi ha fatto un comunicato in cui attacca Strakuadaglio o come diavolo si chiama, che, tra le altre cose, è direttore del giornale on line "Il predellino". Uno si stira le dita e pensa: eh no, cazzo, io non ci sto più a queste cose, io mi incazzo, io devo, io voglio... Io voglio che? Svegliarmi, ecco. Svegliarmi non sarebbe male.

martedì 27 luglio 2010

CHI L'AVREBBE MAI DETTO?


All'Hollywood e in altre discoteche ci si droga.

Sono sconvolto.


venerdì 23 luglio 2010

Libertà sì, ma anche professionalità


Blog. Nel ddl intercettazioni resta la norma che obbliga anche i blog a pubblicare entro 48 ore le rettifiche. "Per i siti informatici compresi i giornali e i periodici diffusi per via telematica le rettifiche sono pubblicate entro 48 ore dalla richiesta con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono". "Si tratta - commenta la democratica Donatella Ferranti - di un ingiustificato ostacolo ai nuovi strumenti di comunicazione. Si rischia così di paralizzare il blog".


Che Dio mi fulmini, ma io sono d’accordo con questo comma specifico della stupenda e libertaria legge Bavaglio. Ieri sera, a Linea Notte, l’ottima Giovanna Botteri ha raccontato cos’è successo negli Usa: un blog ha riportato una frase di una funzionaria (di colore) del governo americano per il settore dell’agricoltura. La frase era: “Non ho dato i soldi a quell’agricoltore perché era bianco”. La Fox ha scovato la notizia/filmato su questo blog e l’ha rilanciata. In pochissimo anche le altre emittenti hanno amplificato il tutto, si è creato un caso che ha costretto la funzionaria a dimettersi. Anzi, è stata licenziata. Poi si è scoperto che quella frase era in un contesto del tutto differente e che, inserita nel discorso più ampio, aveva esattamente il senso opposto. Un’altra tv è andata a cercare l’agricoltore in oggetto che ha ribadito come quella funzionaria non solo era stata carina e gentile, ma che l’aveva aiutato e salvato, lui e la sua fattoria, dalla bancarotta.

In Usa si è così scatenato un dibattito sull’informazione seria. Beati loro che possono ancora fare dibattiti di questo tipo, avendone ancora alcuni vessilli di informazione seria. Il dibattito si incentra soprattutto sulla correttezza del controllo delle fonti, che per un giornalista segna la differenza tra il pubblicare una bufala, altrimenti detta minchiata, e il pubblicare una notizia.

Un blog ed un blogger possono pubblicare una notizia?
Secondo me, che sono giornalista, sì. Qui si parla di notizie, non di opinioni: quelle sono un’altra cosa. Ma se un blogger vuole giocare a fare il giornalista, non l’opinionista, il gioco deve rispettare alcune regole. Se per esempio io qui dico che un politico a caso è secondo me una testa di cazzo e che mi sta molto antipatico, io lo voglio dire, e nessuno mi può impedire di dirlo: se poi quello mi fa causa per diffamazione, c’ha ragione. Se io dico che un politico è bravissimo o che un’attrice è una gran gnocca, è sempre un’opinione; positiva, per cui non prenderò querele, ma un’opinione.

Se io dico che un politico prende mazzette e pubblico un resoconto bancario che lo dimostra sul mio blog, non è un’opinione. E’ una notizia. E se è una notizia interessa al pubblico: per questo è possibile (almeno in America succede, qui un po’ meno…) che venga ripresa dai media che la rilancino.
Se però la mia notizia è una cazzata, non posso dire: ok, scherzavo dai, non sono mica un giornalista…

Si capisce che qui la libertà non c’entra nulla; qui c’entra la professionalità e l’importanza dell’informazione che, oltre ad essere libera, deve essere anche vera. Magari dite voi, eh? Lo dico anche io.
Ritengo quindi che sia giusta la rettifica entro le 48 ore per i blog e i blogger che vogliono giocare a fare i giornalisti per quello che riguarda le notizie. Non credo sia un ostacolo che rischia di paralizzare i nuovi mezzi di comunicazione, come commentato dalla PD Ferranti. Mica è un obbligo scrivere di questo. Si possono scrivere tante altre belle cose, nella vita, oppure disegnare, cucinare, fare una passeggiata.


martedì 20 luglio 2010

VERSO IL CURVONE...


Certi giorni non sono come gli altri giorni, anche se ti sembra che tutto sommato non fai nulla di diverso dal solito. Ed in effetti non fai nulla di diverso. Intorno tutti continuano a dire le stesse cose, a parlare delle solite storie, a fare le stesse battute. C’è qualcosa di differente, ma non sono i discorsi e non sono le facce, sempre le solite; le dinamiche, sempre le stesse. Come le acque limacciose del fiume che vanno sempre nella stessa direzione. Cosa c’è allora che non torna? Sei tu che non torni. Sei tu che non torni perché dopo tante chiacchiere fatte, immaginate, sognate, sputate, finalmente ti pare di vedere qualcosa laggiù all’orizzonte: è un curvone, uno di quei tornanti che ti fanno cambiare passo e prospettive. Il curvone è lì che aspetta, è distante solo qualche centinaio di metri e qualche decina di giorni: trattieni il fiato, perché quando arriverai lì ti renderai conto che l’impennata è in discesa, e che i fiumi, se ci credi, possono anche andare al contrario.


venerdì 16 luglio 2010

Ordine dei Giornalisti della Toscana

Il ddl comprime fortemente la libertà di informazione
L’Odg toscano sulle intercettazioni: gli emendamenti non bastano

Firenze - Dopo lo sciopero della scorsa settimana, che ha avuto una larga adesione anche in Toscana, e visto l’intervento del relatore indipendente dell’Onu, Frank La Rue, sulla libertà di espressione che ammonisce il governo italiano di ''abolire o modificare'' il progetto di legge sulle intercettazioni perché ''se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione in Italia', l'Ordine toscano torna sul tema.

Gli emendamenti al ddl sulle intercettazioni presentati in questi giorni dalla maggioranza non bastano: nel nuovo testo resta tutto intero il problema della forte compressione della libertà di informazione. Il permesso di sunteggiare le intercettazioni è un modo pericoloso e sbagliato di affrontare la questione e la riduzione delle sanzioni a carico degli editori non possono trovare d’accordo l’Ordine dei Giornalisti. Sovrapporre al controllo del direttore la supervisione della proprietà induce a una pericolosissima confusione dei ruoli, rompendo un principio cardine su cui si regge la nostra professione e che i giornalisti devono difendere ad ogni costo.
L’attenuazione delle misure sulle modalità di effettuazione delle intercettazioni e su altri aspetti del ddl, evidenziano ancora di più che il vero obiettivo di questo provvedimento confuso e pasticciato è mettere un bavaglio all’informazione.

Ordine dei Giornalisti della Toscana

giovedì 1 luglio 2010

COSI' NON VALE, SE MI PIAZZI IL MATTINALE


È incredibile, nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Per almeno due motivi: per la diversificazione delle opinioni espresse, primo, e poi per il nome. Uno dal Popolo della Libertà si aspetterebbe un paio di cose. Tipo che sia un popolo e che coltivi la libertà come stella polare, soprattutto al proprio interno. E invece, cosa mi viene fuori?

Che esiste un foglio, una velina, un input, un'ordine, chiamiamolo come ci pare. Loro, con il loro tipico gusto retrò, lo hanno chiamato "Il Mattinale". Ne parla stamani Filippo Ceccarelli su repubblica.it, ed è una notizia. Perché quando esce allo scoperto qualcosa che si pensava fosse solo una specie di leggenda metropolitana, che invece si scopre essere più vera del vero, è giusto parlare di notizia.

Il Mattinale intercettat... Ops! volevo dire rinvenuto da Ceccarelli è una sorta di Bibbia quotidiana che Berlusconi manda e tramanda soprattutto a chi, tra i suoi, passerà il resto della sua giornata a parlare davanti alle telecamere. Avete presente, insomma, quei mantra ripetuti ossessivamente dai vari Cicchitto, Gasparri, Bondi, Bonaiuti e compagnia di merende? Io mi sono sempre chiesto se dietro ci fosse un ragionamento d'insieme, una strategia di comunicazione politica. Ovviamente sì, c'è.

Potremmo definirlo un vero e proprio ordine del giorno. Dove per "ordine" s'intende imposizione. E così: magistrati cattivi, stampa cattiva, partito dell'amore, lotta all'invidia, sinistra comunista e via via, tutti i refrain che allietano i nostri tg ben depurati da notizie e domande.

Ma perché fare domande quando ci sono già le risposte? 

L'evoluzione tecnologica del Mattinale sarà probabilmente una chiavetta usb aggiornata ogni mattina con le frasi da dire e ridire fino all'ultima edizione del telegiornale.

In quale onorevole buco sarà infilata tale chiavetta per un corretto funzionamento, crediamo sarà una notizia che uscirà con uno dei prossimi Mattinali.


martedì 29 giugno 2010

martedì 22 giugno 2010

Non sono scomparso...

...sto solo attendendo con impazienza che diventi illegale infamare la gente attraverso i blog per dire tutto quello che penso di chiunque.

martedì 1 giugno 2010

Non abdico al mio ruolo di rompicoglioni


C’è una cosa che più di tutte deve far riflettere sui “nostri” politici. E, dopo aver riflettuto, deve far ridere, ma ridere forte, come quando vedi qualcosa di banale, a cui magari non avevi mai fatto caso prima, e non riesci a smettere di ridere finché ti fanno male le guance e i muscoli facciali si irrigidiscono in spasimi incontrollabili.

La cosa che mi fa più ridere è il modo in cui i politici parlano. E non mi riferisco ai grossolani errori di italiano, agli strafalcioni lessicali e sintattici, alle inflessioni dialettali che mettono in dubbio perfino ciò che viene detto. No.

“Da quando presiedo il Senato, ho sposato la causa della terzietà” dice Schifani, non memore dei tempi in cui un giorno sì e l’altro pure invadeva ogni tipo di mezzo di comunicazione per diffondere il verbo berlusconiano ma soprattutto per infamare chiunque non si chinasse davanti al re. E che si chinasse mostrando al re il di dietro, si capisce.

Uno dei più spettacolari esempi di stupidità lessicale è Frattini, l’inutile ministro degli esteri che non dice mai un cazzo, ma lo dice con un enfasi e con una tale scena da far apparire ridicolo perfino il nulla.

venerdì 21 maggio 2010

SI È MAI VISTO UN GIORNALE CHE REGALA DVD?!?!


...in effetti sì, si è visto. La domanda che si fanno nelle pubblicità alla radio quelli di "Libero", sedicente titolo di un sedicente giornale che di quotidiano ha solo la frequenza, ha quindi una risposta. Quello che non si era mai visto, invece, è un giornale che regala DVD con i DISCORSI DI MUSSOLINI. Molto simpatica come idea, così come è molto ironica e ben riuscita l'idea di estrapolare alcune frasi da inserire nello spot. Molto, molto carina: a Libero sono davvero dei geni.

C'è una domanda ulteriore che però è giusto porsi.
Si è mai visto un giornale che regala DVD?
Sì.
Si è mai visto un giornale che regala DVD con i discorsi di Mussolini?
Finora, ce l'eravamo evitato.

Ma soprattutto.
Si è mai visto un giornale tedesco che regala DVD con i discorsi di Hitler?


lunedì 10 maggio 2010

La Kia nel paradiso dei canini


Non dare retta a quello che senti dire in giro, Kia: il paradiso dei canini esiste, eccome se esiste! Non avere paura. Noi saremo anche lì, non ti lasceremo mai da sola. Non avere paura. Ci siamo salutati solo per un po’. Come quando andavamo in vacanza e tu aspettavi pazientemente il nostro ritorno. Puoi correre, lassù, nel paradiso dei canini, sai, Kia? La zampa non ti farà più male, per nulla! Puoi correre fino a quando la lingua ti toccherà per terra. Sai, Kia, il paradiso dei canini è fatto di prati giganteschi. Eppure saranno tutti come quello in cui hai passato la tua vita. Uguali identici. Solo, più grandi. E ci saremo noi. Ci saranno tutti i tuoi giochetti preferiti. Ci saranno le palline e ci saranno i polli di gomma, e i peluche. E ci sarà un enorme divano, proprio così!, ci sarà un divano enorme, il divano del paradiso dei canini: è uguale a quello su cui ti sei stiracchiata, su cui hai sonnecchiato. E ci saremo anche noi, lì, insieme a te: dovrai ancora piazzarti davanti e guardare con i tuoi occhi languidi per farmi alzare e metterti al posto mio, che credi! Nel paradiso dei canini ogni giorno potrai mangiare tutto quello che ti pare. Potrai mangiare bisteccone e salcicce fino a che ne avrai voglia. E ci saremo noi, lì. Non avere paura. Ogni volta che vorrai, ogni sempre, ci saremo, lì, a grattarti dietro l’orecchio, a grattarti sul culone. Ci sarò io a farti qualche dispetto, a spaventarti, ad abbracciarti. Non avere paura, Kia: il paradiso dei canini è il posto migliore di tutti. Lì non ci vai mica perché ti sei pentita di qualcosa. Lì ci vai perché sei amore e gioia. Lo sei stata per dieci lunghi anni, lunghi eppure già finiti. Eri piccina picciò, e avevi delle zampone troppo grosse rispetto al resto, sai, Kia? Ho delle foto di te da cucciola. Eri bellissima, e lo sei, lo sei ora che saluti noi, che saluti il tuo divano, che saluti la tua casa, la tua terrazza, che saluti noi che piangiamo e che non ce ne facciamo una ragione. Siamo stupidi, vero Kia? Siamo stupidi perché adesso la zampa andrà bene, lassù, nel paradiso dei canini, andrà bene la zampa, andrà bene la pancia: non ci sarà dolore, lassù, ci saranno solo corse e grandi dormite e grandi mangiate. E ci saremo noi. Ci saremo tutti. Saremo insieme a te, sempre, per sempre.

domenica 2 maggio 2010

Quando sei morto pioveva


Quando sei morto pioveva, non perché il cielo piangesse, quella è roba da poeti, e di poetico in un ragazzo che muore non c’è niente, non c’è niente di poetico in un ragazzo che muore mentre fuori dalle finestre piove grigio da grigio. Non c’è nulla di poetico nei pomeriggi di maggio che sembrano ottobre o novembre, e dentro una camera un ragazzo conta le sue colpe per cercare di capire, di spiegarsi, per provarci, per piangere. Non ci sarà un secondo tempo, leone, non qui, non su questa terra. Non in questa terra. Pochi giorni, pochi mesi. Pochi. Così pochi. Così pochi. Così pochi. Come può essere, come può accadere. Eppure succede, e mentre fuori piove sei lambito dai tentacoli della medusa. Quando sei morto pioveva e non una goccia parlava di poesia. Di ragione. Niente parlava di nulla. È questa la verità. Che niente, quando sei morto, diceva un cazzo di nulla.


giovedì 29 aprile 2010

Mosaico emozionale di una liturgia pagana



Pomeriggio tardo e tiepido. Odore di panini nell’aria. Gente accalcata ai cancelli verdi del Mandela. Cori. Magliette tarocche a venti euro. Bicchieri di birra. Sosia di Piero a decine. Capelli lunghi, basette a saetta. Zaini. Bandiere. Un sosia di Ghigo. L’unico nel mondo. Chissà che passa in testa alla gente, chissà. Porchette in esposizione. Speranze. Canzoni appena abbozzate. Cancelli aperti e ragazzi che corrono. Attesa rumorosa. Fumo che inizia a salire verso il cielo alto del palazzetto. Gente. Tanta. Arrivano come un’onda del mare che si affastella sotto a un palco e che resta lì. Niente riflusso, stasera. Gioia. Speranze. Cori. Qualche canna che gira. Qualche bottiglia di vino. Birra. Note. Vocio indistinto fino al buio. Giubilo. Mani che fendono l’aria tremando. Urla. Luci rosse. Ghigo e Piero entrano insieme. Il braccio di Piero sulle spalle di Ghigo. Dopo dieci anni. Urla. Luci rosse. Delirio. Benvenuti nello stato libero di Litfiba. Bentornati. Siamo sempre stati qui. Nonostante l’interruzione. Qui. A urlare. In delirio. Pro pro, proibito. Salti. Spallate. Non una parola va persa. Ogni bocca è una sola. Quella di Piero. Urla. Luci gialle. Addominali dolenti. Almeno ti ricordi di averli, da qualche parte. Polpacci dolenti. Gole dolenti. Magnifico, liberatorio dolore. Doccia di sudore. Dio. El Diablo. Ratzinger. Tex. Ferito. Animale di zona. Fata Morgana. Accendini. Ci sei solo tu. Sorrisi. Paname. Abbracci tra discepoli del suono e della parola. Fanculo l’onore. Fancu-lo la mafia. Con dedica speciale ai politici poltronati. Ad uno in particolare. Voglio il colpevole. Lo voglio qui. Maudit. Domanda: perché ai concerti sono sempre tutti più alti di te? Il plesso solare è un appartamento in bilico tra l’esplosione e l’implosione. Alla base del collo si sono dati appuntamento tutti gli spilli del mondo. Sono tutti qui. Mentre salti. Con Piero. Mentre non dici più Piero, non dici più Ghigo, dici Litfiba, lo urli così forte che le tempie si dilatano e la tua faccia diventa un quadro di Picasso. Periodo blu. Urla. Sogni. Rabbia. Spallate. Poghi. È qui che eravamo rimasti col discorso? È qui che siamo rimasti. Intrappolati sul pavimento appiccicoso. Nel sudore che imperla le ossa. Nella voce che se ne va. La getti sul palco. Sull’altare. La getti all’officiante. In sacrificio allo sciamano. Liturgia. Liturgica sensazione di appartenenza. Liturgica rivendicazione dell’essere contro. Liturgica rivendicazione di non accettare. Di strillare contro tutto e tutti. Di esserci. Di essere lì. Lì. Non altrove. Qui. Liturgica estatica sensazione di sfinimento. Fanculo l’onore, fanculo l’omertà, fanculo la moderazione, fanculo il dialogo. Voglio il colpevole, lo voglio qui. Applausi. Urla. Litfiba. Un dito medio che si alza. Voglia di essere cattivi. Più cattivi del mondo che ti vuole addormentato e fe-lice. È un riff. È una musica. È una celebrazione che non si dissolve con le luci che si riaccendono. Il brusio è sfuocato come una diapositiva venuta meglio delle altre. Ed una pervadente sensazione di dolore fisico. Così totale da farti stare bene. Come se avessi sputato il veleno e l’odio. Svuotato. Come una seduta di psicanalisi. Come una messa. Una liturgia. Il pagano rituale collettivo di un popolo ritrovato. L’uscita in massa, nella corrente di un fiume placido di facce entusiaste, di bocche sorridenti, di occhi stravolti. Bentornati Litfiba. Bentornati a casa. Bentornati da noi. Bentornati dalla vostra famiglia. (Gianni Somigli)

venerdì 23 aprile 2010

Nemico


Cosa può provare chi, come me, ieri sera ha guardato Annozero? Cosa si prova, guardando mamme trentenni trasformarsi in bestie feroci, pronte a sbranare altre mamme trentenni, solo un po’ più scure? Cosa può provare chi si trova davanti un sindaco che istiga alla violenza, all’odio razziale, che ne trae beneficio e forza in termini elettorali, che cavalca e che alimenta?
Io, personalmente, ho provato una grande, grandissima tristezza. Ho provato paura osservando ammutolito lo sdoganamento di così tanta violenza verbale e non solo. Mi sono sentito avvilito davanti al povero Sandro Ruotolo, che “da 22 anni lavoro con te, Michele, ma un clima d’intolleranza, di razzismo come quello di stasera non l’avevo mai incontrato”.
Perché Ruotolo non era mica ad un ritrovo del Ku Klux Klan. Era in una sala normale di un palazzo normale di un paese normale, attorniato da gente normale, rabbiosa per essere stata dipinta come razzista mentre insulta e continua a dire “voi extracomunitari”. Non a dire. A strillare, ad abbaiare.

Sono quelle stesse facce che a gennaio mi dicono che non devo dimenticare gli ebrei morti. Sono loro, e mi governano. Sono loro che mi ripetono dell’importanza della “memoria”. Perché non accada più. Mentre è accaduto, sta accadendo, accadrà.

Sempre. Nonostante tutto, l’essere umano resta ciò che è. Un animale violento e brutale. Che quando ha fame non vuole cibo per sfamarsi. Vuole un nemico da sbranare.

Povera Italia. Poveri noi.


martedì 30 marzo 2010

ALMENO

Almeno, con la vittoria di Cota in Piemonte, potremo finalmente vedere realizzato il grande progetto di unire il Pacifico e l'Atlantico.


giovedì 25 marzo 2010

REAZIONI

Voglio ben sperare, sottolineo: VOGLIO BEN SPERARE, che dopo le infamanti accuse rivolte a sua santità il papa Benedetto Decimo Sesto in carne, ossa e spirito santo, da parte del noto giornaletto laicista e anticlericale chiamato "New York Times", le reazioni siano come sempre nette, ferme, decise. Insomma: FUORI IL NYT DALLA RAI, SUBITO!

mercoledì 24 marzo 2010

Voti

"No, dai, veramente. Non può aver detto che batterà il cancro in tre anni, non può essere arrivato a dire cose del genere".

"Vabbé, ma l'avrà detto per raccattare qualche voto in più".

"Dai malati terminali?".

"No, dal cancro".


lunedì 22 marzo 2010

COMUNICAZIONE AGLI AFFEZIONATISSIMI LETTORI DI QUESTO BLOG... COMUNICAZIONE UFFICIALE, UFFICIALISSIMA...

SIAMO
UN
MILIONE!!!!!!!

Maremmimpestata, che nausea...

Sono due giorni che cerco di farmene una ragione. Ma com'è possibile che gente importante come dei ministri, dei governatori, quelli che si chiamano "classe dirigente" si rendano così ridicoli? Com'è possibile che un governo scenda in piazza (mai vista, sta cosa) ma ancora di più che la manifestazione sia più ridicola di uno spettacolo del Bagaglino? Com'è possibile che le uniche due cose che sembravano poter rivendicare un minimo di dignità erano i fascisti in marcia e Demo Morselli?
Questo paese è una barzelletta. Una di quelle che non fanno ridere, tra l'altro.

martedì 16 marzo 2010

LA MALA EDUCAZIONE


C’è una cosa che mi manda in bestia. O meglio, c’è una cosa che mi manda in bestia più delle altre cose che mi mandano in bestia.
Personalmente, ritengo di essere una persona piuttosto educata. Non mieloso, credo: però, mi piace essere gentile. Fosse solo per il fatto che oggi essere gentile è praticamente una mossa a sorpresa. Del tipo che dico “grazie” e “arrivederci”, che lascio il posto a sedere sui mezzi (una volta mi sono fatto Milano-Firenze sul Frecciarossa in piedi per far sedere una enorme signora di colore con due splendidi marmocchietti). Essere gentili, oggi, è qualcosa di rivoluzionario, di inaspettato.
Un altro modo di essere mediamente gentile, per non dire educato, è che quando mi mandano una mail in genere rispondo. Che c’entra: se mi scrive la mia fidanzata, qualche amico o un familiare, questo è un discorso banale. O quasi.
La domanda è: perché la gente non risponde alle mail?
Io, le persone che non rispondono alle mail, le odio.
Cosa cazzo ti ci vuole a fare un movimento impercettibile col ditino fatato sul mouse, ciccare su “rispondi”, schiacciare eroicamente una volta il tasto “O” e quello dopo “K”. Se poi si vuole esagerare quanto a stoicismo, un “RICEVUTO” sarebbe chiedere troppo?
Ti trovi così costretto, dopo qualche giorno, a scrivere nuovamente alla stessa persona, per chiedere se, almeno, abbia ricevuto oppure no la tua mail. C’è chi non risponde neppure a quella. Una gran parte di persone, invece, ti rispondo tutte piccate. “Certo che l’ho ricevuta”, dicono. Manco un punto esclamativo per alleggerire. Eh. E dimmelo subito, no?
Il problema è che la gente non si regola. Il problema è che se quella mail è quella che aspetti, non ti poni il problema della risposta che il tuo interlocutore vorrebbe, si aspetterebbe, necessiterebbe. Il mio è mio, il resto passa direttamente nella categoria “sticazzi”.
Io, per quello che mi riguarda, continuo a pensare che essere gentili sia la più grande dimostrazione di affetto nei confronti di se stessi. E, per quello che mi riguarda, io mi voglio discretamente bene. Così tanto bene che certi giorni mi scrivo delle mail da solo. E mi rispondo pure.

giovedì 4 marzo 2010

REDEMPTIONS

Ci sarebbe da sconvolgersi altamente di questi tempi, tra liste e listini che saltano e che comunque contengono cani e porci, anzi, soprattutto cani e porche, tra senatori arrestati per 'ndrangheta che ricevono l'applauso del parlamento, tra sospensioni della libertà di direfarebaciare ma soprattutto di dire, tra un processo a Palermo in cui sta venendo fuori ciò che tutti sanno da venti anni, tra l'inesistenza di un'opposizione politica. Ci sarebbe da sconvolgersi e battersi il petto. Ma ciò che davvero mi stravolge è altro. Ciò che mi stravolge e mi fa tremare le vene e i polsi è questa dichiarazione qua: "Alcool, donne e droga mi stavano uccidendo". Firmato Paolo Brosio. Lui ha trovato per la strada una madonna e ora è diventato un santo moderno. Uno tra i tanti. Peccato: sarebbe stato perfetto, con quelle caratteristiche, per entrare di diritto in una delle liste elettorali berlusconiane. Ah, talvolta è solo questione di tempi di un verbo, la felicità. Un bel passato prossimo, e tutto questo non sarebbe successo.

mercoledì 24 febbraio 2010

Prossimo venturo


«Scusi, una domanda».
«Dica».
«Lei ha fiducia nel futuro?»
«Be', se mi sforzo di non badare al fatto che tutti pagano tangenti, che i controllori sono amici o parenti dei controllati, che i politici sono eletti dalla 'ndrangheta, che gli amministratori locali sono pappa e ciccia con imprenditori e mafia, che si parla ancora di esercito del bene contro il male, che i telegiornali sono peggio di quelli di Goebbels, che tra un mese mi scade il contratto, che non avrò mai una pensione, che ci sono più guerre di quante ce ne siano mai state, che il 60% dell'Italia è a rischio frane, che ogni giorno aumenta di più la sensazione di essere presi per il culo... Insomma, se mi sforzo di non badare a tutto questo... No, non ho fiducia nel futuro».
«Finalmente un ottimista».

venerdì 12 febbraio 2010

IL CANDORE E GLI UOMINI NERI


C’è un cane che vaga, solo, tra quelle che un tempo erano case e che ora sono monconi, come speranze troncate, come romanzi mai finiti, un cane scuote la coda polverosa e annusa l’aria, ciondolante, solo, polveroso. I gioielli di un tempo, qui, sono sotterrati, cadaveri scomposti e tre metri di terra. Già, la terra. La terra che si scuote come un brivido, come un conato, come una ribellione che miete vittime innocenti. I gioielli di un tempo. C’erano bambini e sogni, qui, c’erano studenti, musicisti; c’erano padri e madri, c’erano nonni e storie da raccontare, c’erano ladri, c’erano macellai, fruttivendoli, orafi, professori. C’erano, c’erano e adesso non ci sono più. Un tremito della terra, angosciante madre vendicativa, ha spazzato via tutto. E adesso, coloro che c’erano, non ci sono più. Ci sono state le lacrime, ci sono state mani tese, braccia aperte. I re ed i principi di tutta la Terra hanno abbandonato il loro impero per un giorno. Ci sono stati, ma, adesso, non ci sono più. La polvere si posa e resta il buio. Come incubi tremendi, è nel buio che gli uomini neri si muovono, e ridono, e brindano e hanno brindato, gli uomini neri che hanno venduto il mondo. Gli uomini neri che sono sempre esistiti, gli uomini neri che oggi si affollano là, sulle carcasse di bambini e anziani, per cibarsi di resti, piccole mani, piccoli piedi, da trasformare in mattoni, in cemento, in soldi; gli uomini neri che ancora oggi come ieri, ancora oggi più di ieri, ci fanno paura, ci rendono fragili, ci fanno chiedono: perché, com’è possibile, cosa ci succede? Eppure andiamo, per la nostra strada, oltre le macerie del mondo, dell’Aquila, di noi stessi, spaventosamente capaci di piangere ancora, e di sorprenderci per la voglia di urlare, di dire no, di raccattare, tra la polvere, una piccola briciola di candore. Il nostro candore, violentato, deriso, ucciso dagli uomini neri che vivono nell’ombra della nostra quotidianità.

giovedì 11 febbraio 2010

Facinorosi

Dopo i fatti degli ultimi giorni credo che sia più opportuna una serie di provvedimenti contro i facinorosi, che forse sono una piccola parte, certo, ma episodi del genere non sono più tollerabili. Il pugno duro è più che giusto. Stop alle trasferte, daspo, firma obbligatoria… Solo così, finalmente, riusciremo debellare il fenomeno della violenza in parlamento.

lunedì 8 febbraio 2010

IMPRESSIONI


È un'impressione mia, oppure oggi è più lunedì del solito?

giovedì 4 febbraio 2010

...

E basta.

mercoledì 3 febbraio 2010

UNA PER TUTTI, TUTTI IN UNA

Leggo con stupore che il calciatore Adrian Mutu non solo è stato squalificato in passato per cocaina, non solo deve una montagna di soldi ad Abramovic, non solo è stato beccato ancora una volta positivo a sostanze proibite (pare per dimagrire), ma, notizia di oggi, sarebbe pure coinvolto in uno scandalo sessuale. Sarebbe stato coinvolto, infatti, proprio ai tempi del Chelsea, in una relazione con la signorina nella foto a sinistra, che di nome fa Vanessa Perroncel e di mestiere fa la modella. In questi giorni si parla tanto di lei perché, ai bei tempi, era fidanzata di un giocatore del Chelsea, Wayne Bridge, ma sarebbe stata coinvolta in una relazione con John Terry, capitano del Chelsea e dell'Inghilterra; per questo, nel Regno si è arrivati a chiedere al CT Capello di togliere la fascia di capitano a Terry. Sempre in queste ore, viene fuori che pure l'islandese Gudjhonsen, ai tempi del Chelsea, avrebbe avuto una relazione con Vanessa Perroncel.
Essendo io tifoso del povero Toro, consiglierei a Cairo, al quale è sempre stata rimproverata l'assenza di un "uomo-spogliatoio", di contattare Vanessa: le sue doti di donna spogliatoio intorno a cui il gruppo si cementa appaiono indubbie e indiscutibili. Vogliamo Vanessa Perroncel team-manager subito.

martedì 2 febbraio 2010

L'ORA DELLE DECISIONI IRREVOCABILI

Credo sia giunto il momento per il PD di uscire dalla Binetti.

lunedì 1 febbraio 2010

L’Omino delle Gallerie

Di Gianni Somigli

Ieri pomeriggio ho preso il Frecciarossa per tornare da Milano a Firenze. Come mi capita ormai da più di un anno a questa parte un finesettimana sì e uno no. Il Frecciarossa, sì. Il treno “alta velocità”. Quei treni che vanno alla velocità della luce. Quelli che un biglietto andata e ritorno costa più di 100 euro. Quelli là.

Il treno parte regolarmente, alle 17. Il posto che avevo prenotato è occupato da una signora con un bimbo piccolo. Mi siedo da un’altra parte, senza fare polemiche. Io li odio quelli che fanno quel generi di polemiche, anche se hanno ragione. Una volta ho ceduto volontariamente il mio posto a una signora di colore che aveva due bambini piccoli e mi sono fatto il mio viaggio in piedi. Mi sono sentito un eroe dei nostri tempi. Gli altri, probabilmente, hanno pensato che fossi un coglione. Per quello che mi riguarda, quando vado a fare il biglietto, prendo sempre uno di quelli che chiamano “posti isolati”. Non perché sia particolarmente antisociale. Non solo, almeno. È che mi piace star comodo. Mi leggo il mio giornale, mi ascolto la mia musica. Se devo andare in bagno, non devo far alzare nessuno. E poi, la gente, quando ti si siede a fianco, non è che si regoli molto: il bracciolo in condivisione è una sorta di territorio di conquista da invadere in modo discreto ma deciso. Ecco perché voglio sempre un posto isolato. Perché sono un pacifista.

Dopo una decina di minuti, quando il treno eurosuperstar esce dal groviglio di binari nei pressi della stazione, ci fermiamo. Nemmeno ci bado. Succede sempre. Questione di precedenze, ho sentito dire. E poi mi sto ascoltando la radio sul cellulare. Ci sono le interviste del dopo partita. Le interviste del dopo partita le amo follemente. Per il loro squallore, per la loro ripetitività; tutti dicono sempre le stesse cose. Io le amo proprio per questo: perché sono così rassicuranti. Così, quando il treno riparte come uno di quegli elefanti feriti che ogni tanto si vedono nei documentari, non è che ci faccia particolarmente caso.
Viaggiamo per una decina di minuti a velocità ridotta. Se è velocità della luce, è la luce di una candela in una caverna. Tutto intorno, la Padania respira appena nel piattume incontrastato. Il treno si ferma ancora.

Le persone, che in questo caso sono catalogate come “viaggiatori”, iniziano a struffiare. Struffiare, in fiorentino, vuol dire soffiare in modo stizzito. Stiamo fermi un bel po’. Poi ripartiamo, ancora a velocità ridotta. Ci rifermiamo. Il brusio si trasforma in dibattiti aperti su quanto i treni facciano schifo, su quanto l’Italia faccia schifo, su quanto non sia possibile andare avanti così.
L’unica alta velocità che si riesce a notare è quella del capotreno, che dribbla domande e richieste manco fosse Roberto Baggio, passando a mille all’ora da uno scompartimento all’altro. La gente, se potesse, lo strozzerebbe. Lo ammetto: anche io, potessi, lo strozzerei. Ma cerco di mantenere un certo controllo distaccato, da viaggiatore ormai navigato vittima di un rassegnato ascetismo.

Arriviamo a Bologna con venticinque minuti di ritardo: «Ci scusiamo con la clientela, il ritardo è dovuto a una passeggera che ha tirato la leva di sicurezza sulla porta di salita». Io non sono un genio e non ci tengo ad esserlo. Frugo nel disordine lessicale della giustificazione del capotreno e mi pare che qualcosa non torni. Magari la passeggera ha tirato la leva almeno cinque volte. Non si può mai sapere, con questa teppaglia che c’è in giro. Quando ripartiamo da Bologna, sto già avvertendo chi di dovere che arriverò in ritardo: la coincidenza è saltata, dico. Chi di dovere non pare esprimere grossi traumi da notizia inattesa.

Dieci minuti e il treno si ferma ancora. Solo che intorno, stavolta, non c’è la rassicurante bassa padana. Stavolta c’è un tunnel lungo circa settanta chilometri. Se uno fosse claustrofobico sarebbe una vera pacchia.
Guardo dal finestrino: c’è una piccola nicchia con una porticina gialla e uno di quegli interfoni col pulsantone rosso con su scritto “SOS”, come quelli che ci sono in autostrada. La nicchia è illuminata da un neon.

Visto che sono uno che piglia le cose con pazienza, mentre gli altri colleghi naufraghi sul vagone della speranza non si danno pace e iniziano pure a sentire freddo, io invece non stacco gli occhi da quella porticina e mi immagino che là dentro ci viva l’omino delle gallerie. Uno di quelli, mi immagino, che per antisocialità o semplicemente per pacifismo hanno scelto di vivere in una casina non sopra, ma dentro una montagna, una casina con una porta gialla. È domenica pomeriggio, l’omino della galleria magari è seduto sul suo divano, dietro quella porta gialla, si sta guardando i servizi sulle partite, o sta leggendo un libro. Magari non sta facendo niente. Il treno sta fermo quasi mezzora sotto una delle montagne che divide la Toscana dall’Emilia e io sto mezzora a immaginarmi la vita dell’omino delle gallerie. Uno che non si chiede mai se piove o c’è il sole.
Il capotreno è scomparso nel nulla. Oppure passa così veloce che nemmeno si riesce a vedere. Io leggo un libro, penso all’omino delle gallerie e ogni tanto lascio andare un sospirone di solidarietà coi miei compagni di sventura.

Ripartiamo dopo un bel po’, passa il capotreno e gli chiedo quante volte la signora abbia tirato il freno a mano. Quello mi guarda male. C’è da capirlo, poveraccio. Sono i rischi del mestiere, del resto. Fare il capotreno di un Frecciarossa è uno dei mestieri più pericolosi del mondo.
Arriviamo a Firenze con un’ora di ritardo. Fuori fa un freddo cane. Non ho perso la coincidenza: ho perso le coincidenze. E vabbè. Mi fermo a uno di quei baracchini che dovrebbero fornire il meraviglioso e scintillante servizio clienti per chi butta un centone la settimana. Un signore davanti a me chiede: ma il treno per Milano ha davvero quindici minuti di ritardo?
Sì, risponde l’addetto.
Quindici? Davvero? insiste il signore.
Se non le bastano quindici, può sempre prendere quello per Roma, che ne ha cinquantacinque.
Io alzo le mani e mi arrendo di fronte a questo dialogo. Semmai chiederò il modulo per il rimborso che non otterrò mai su internet. E poi hanno chiamato all’altoparlante, con quella voce robotica che dice “Viaréggio” con la E aperta, un treno che fa al caso mio. Non vorrei aggiungere qualche altro minuto di ridicolo alla mia vita di viaggiatore domenicale.

Il regionale non andrà a duemila metri al secondo. Fa i suoi onesti ottanta chilometri orari, sbuffa e scricchiola come un vecchio di cento anni, ma va. Mi viene in mente che è davvero uno schifo, però. Mio fratello mi ha raccontato che in America, dopo un tot minuti di ritardo a prescindere dal motivo, ti risarciscono al 100%. Quello che odio in situazioni come queste è che ti senti del tutto impotente. Ti incazzi, certo, e ti incazzi con qualcuno che è messo lì per sorbirsi i tuoi insulti ma che non può farci un bel nulla. Ti incazzi e chiedi il rimborso? Provaci, se ti riesce. Ottenere un rimborso dalle Ferrovie è più difficile che trovare un capello vero sulla testa di Berlusconi. E poi ti incazzi le prime volte, pure le seconde, forse le terze; poi, non ti incazzi nemmeno più.

Ehi, ma io sono un giornalista: devo scrivere di questo scempio!
Scendo dal treno e sono a casa con più di un’ora e mezzo di ritardo.
Mi accendo una sigaretta e penso: sono un giornalista, devo scrivere “notizie”. Il giorno in cui il Frecciarossa arriverà in orario, quella sì che sarà una notizia. Allora, magari, ne scriverò due righe. Forse.

mercoledì 27 gennaio 2010

MEMODAY

Sono sempre stato convinto che fare il giornalista sportivo sarebbe la mia strada. Per la passione oggettiva e non da tifoso verso il pallone e i pallonari, per essere cresciuto a pane e pallone con un padre, il mio, grande esperto. Ma sono sempre stato convinto anche perché la scrittura, pur giornalistiva, in tema di "sport" e soprattutto di calcio, è una scrittura che spesso rasenta la celebrazione dell'eroismo o della caduta, della polvere o della rinascita, attraverso un linguaggio semplice e narrativo che poi, alla fine, più o meno si riduce sempre ai soliti discorsi. Perché questo è ciò che il tifoso si attende da te. Ed è sempre per questo che poi, se c'è qualcuno più bravo degli altri, metti un Brera qualsiasi, assurge a ruolo di letterato, molto più di un Manzoni o di un Pannunzio. Non è una critica, questa. È semplicemente un'osservazione della realtà. Basti vedere, per fare un esempio, come si è modificato negli ultimi anni il linguaggio televisivo: dalle telecronache di Pizzul a quelle epiche di Caressa.
Il calciatore (a volte, l'allenatore) è l'eroe moderno, che si racconta con un linguaggio celebrativo: Achille e Ettore, Gianni e Sandro, Ibra e Dinho...

Questa lunga, reminiscente, tediosa, inutile premessa per dire che ieri sera mi è capitato di vedere per cinque secondi Moggi ospite da Chiambretti.
Oggi è il Giorno della Memoria, una memoria che riguarda certo argomenti più importanti di un Moggi petulante ed offensivo. Un Moggi che pontifica, che adesso diviene il solito, noiosissimo capro espiatorio italiano: quelli che combinavano le partite, ha detto Moggi, sono ancora lì, perché l'Inter si lamenta, quindi io facevo le stesse battaglie di Moratti.
Petulante ed offensivo, odioso come sempre, almeno in pubblico; Moggi che piange davanti ai carabinieri, osservando il suo impero sgretolarsi, non ci si ricorda più, il giorno della memoria è una boutade, nel mondo del pallone.
Tra parentesi: il sempre più servile Chiambretti assecondava ogni esternazione di Moggi manco fosse Padre Pio. Anzi, più che assecondare, sosteneva con dei convinti "certo", "certamente", "ovvio", "è così".

Ci siamo già dimenticati tutto?
Sì. Perché ieri mica era il Giorno della Memoria. E nemmeno domani.

martedì 19 gennaio 2010

Come non detto

Ieri ho visto che tutti i giornali titolavano a sei colonne di qualcosa a proposito del Papa, con foto enormi. Ho pensato: toh, ma vedi un po', finalmente il Papa ha fatto quello che ci si aspettava da lui, è andato tra chi ha bisogno di lui, della sua presenza, del suo conforto. Ho pensato: bravo il Papa, sarà sbarcato ad Haiti con una nave di aiuti, starà scavando con le proprie mani tra le macerie, starà piangendo e pregando sui corpi dei bambini morti. Centinaia di migliaia. Bravo il Papa, ho pensato: porta aiuti sull'isola e, di sicuro, caricherà migliaia di bambini mutilati, orfani, disperati sulle navi, e li porterà in Vaticano, in Italia, in Europa. Si sprecheranno le battute sui bambini e i preti, ma non importa. Prima o poi capiranno. Capiranno che il Papa ha fatto ciò che il Papa doveva fare.
Poi ho letto. Il Papa era a Roma, in sinagoga, a fare più o meno la pace con gli ebrei. Vabbé. Come non detto.

giovedì 14 gennaio 2010

IL VANGELO SECONDO AUGUSTO


Craxi, ripudiato pure da word che lo segnala come errore ortografico, è stato finalmente riabilitato in modo ufficiale. No, non è stato un accadimento improvviso. È stato un processo lento. Mattoncino dopo mattoncino. Bugia dopo bugia. Come sempre, nella storia d’Italia, una storia che non esiste, perché declinata in modo variabile a seconda della bisogna del momento. Adesso, dopo le rare statue sorte qua e là in onore di Bettino, dopo la proposta di intitolazione di una via di Milano da parte del sindaco Moratti, finalmente il processo di beatificazione viene ufficialmente sdoganato lì, dove tutto nasce e tutto muore: in televisione.

La caratteristica più simpatica di Minzolini è che mai, nella pur terribile storia della televisione, un direttore di telegiornale aveva osato chinarsi e schierarsi così apertamente e in modo così frequente.
Con una posa ed una voce simili a quelle della zingara che fa le carte sul canale seicento e qualcosa di Sky, il direttore del tg 1 spiega adesso agli italiani la nuova versione della storia nazionale: italiani! Vi avevano detto che tangentopoli fu una sorta di seconda Liberazione, vi avevano detto che i politici rubavano, vi avevano detto che Craxi era latitante: cazzate! In verità, in verità vi dico che Craxi è stato un eroe, vittima di un sistema, e che tangentopoli in realtà fu un colpo di stato organizzato da Di Pietro per scendere in politica; ergo, traete le vostre conclusioni, anzi no, le tiro io per voi: Di Pietro fa schifo! Vi hanno detto che quando uscì dalla magistratura il primo a cercare di arruolarlo fu Berlusconi? Ancora cazzate! In verità vi dico che non è vero. E voi dovete credermi: io sono quello che vi ha spiegato, in occasione della manifestazione per la libertà di stampa, che la libertà di stampa esiste eccome, e che quella milionata di persone in piazza erano tutti dei deficienti, compresi i miei colleghi. Dovete credermi, quindi, quindi mi credete! Perché come vedete, la libertà esiste: sono libero di educarvi, di indicarvi la via della verità; non importa che leggiate i giornali o guardiate altri programmi. Anzi, io li abolirei proprio, fosse per me. Ma non temete. Qualcuno agirà. Che diritto ha Santoro di dire la sua quando ci penso già io a dire la verità?

Craxi è morto, evviva Craxi. Perché questa riabilitazione? Per quale motivo gettare questo morbo tra gli italiani, abituati ad assimilare qualsiasi cosa, che assimileranno pure questa emerita falsità che ci racconta un’altra storia, una storia di venti anni fa, non un millennio, venti anni?
Semplice.
Perché se il corrotto non è più corrotto, il corruttore non è più corruttore.
Vi ricorda qualcosa? Vi ricorda per caso un processo che si è svolto e che ha sancito che un avvocato inglese ha preso qualche centinaio di migliaia di dollari per mentire in un processo? Vi ricorda per caso che quel processo ha individuato un corrotto e che, quindi, ci deve essere un corruttore? E che questo è un personaggio molto noto nel mondo per le sue barzellette, le sue conquiste amorose e per poche altre cose?

Siete proprio dei bambini cattivi. Guardatevi il Vangelo secondo Augusto, e, forse, anche per voi, ci sarà una speranza. Al limite, sarete riabilitati tra altri venti anni, quando, se ci sarà bisogno, si tornerà a parlare di Craxi come di un ladro. Amen.