martedì 27 gennaio 2009

27 gennaio

GIORNO DELLA MEMORIA











Scusate, mi son dimenticato di ricordare.



martedì 20 gennaio 2009

Sono troppo giovane anche per essere un enfant...

Non sono un particolare sostenitore della “Linea Verde” ad ogni costo. Penso che prima di tutto venga il merito, e che prescinda dall’età, dal sesso, dalla religione e così via. Più antirazzista di così non si può.
Certo, almeno a livello estetico forse le cose andrebbero meglio, se ogni tanto ai posti di comando ci fosse qualcuno che ha meno di cinquanta o sessanta anni. Ma bisogna essere realisti: è ovvio che chi ha il posto di comando non lo lascia, è naturale che non c’è sbocco per chi entra, è scontato che per arrivare in cima alla torre, se inizi a scalare che sei un giovane di belle speranze, quando arrivi ai piani alti il verde della tua linea si è già spostato verso il grigio.
Non credo neanche che sia qualcosa di particolarmente eccezionale. Il mondo, bene o male e tranne rare eccezioni, è sempre andato così.
E’ vero però che in Italia siamo tutti strambi anche in questo campo.
Leggo stamani sul Corriere che il grande Tom Hanks è stato lasciato fuori da una festa, un party in tipico stile newyorkese di quelli che si vedono in tv. La padrona di casa? Una certa Maureen Dowd.
E chi è questa Maureen Dowd? Nientemeno che «l’enfant-terrible del New York Times, la columnist più graffiante e sfrontata di Washington». Almeno secondo il Corriere e, a quanto pare, anche secondo il jet-set americano.
Wow, penso, finalmente una “enfant” riesce a sfondare. Non succede solo nei film, allora! E già mi devasto di pensieri funesti: ma come si può sfondare da giovani? Com’è possibile che succeda al NYT e che in Italia invece ti rompi la schiena per anni e poi... Anche io voglio essere un enfant-terrible. Voglio esserlo, sento che posso diventarlo, sento che ne ho le capacità, e poi sono giovane, ho grinta, spirito...
Vado sul sito del NYT e cerco questa mia nuova guida spirituale e modello professionale. Maureen Dowd, Maureen Dowd... Mi immagino una bella ragazza, tipicamente americana magari, giovane, in qualche posa del tipo: io la so lunga, io la so lunga e infatti ho sfondato, voi schiattate.
Arrivo alla pagina della columnist. E non capisco se il sospiro che mi parte in automatico è di sollievo o di rassegnazione. La “enfant” è nata il 14 gennaio. Ma non del 1980, non del 1989, e nemmeno del 1970. E’ nata il 14 gennaio 1952. Da qualche giorno, quindi, se la matematica non è un’opinione, la nostra enfanta terribile ha compiuto 57 anni. Enfanta. Solo in Italia si può usare questa definizione per chi si avvia verso i 60. E lo so che enfanta non vuol dire bambina né infante, ma il concetto sì, è quello.
E allora penso che Obama è del 1961. Veltroni è del 1955. Berlusconi del 1936. Andreotti del 1919. Tra i giornalisti, bah. Verderami ha 44 anni. Geremicca, invece, 47. Giuseppe D’Avanzo è del 1955, come Veltroni; Gian Antonio Stella ha due anni in meno, è del 1953.
Mi sento un po’ meglio se penso che Jacopo Iacoboni di anni ne ha “solo” 37. Marco Travaglio invece è nato del 1964.
Insomma, dura la vita per chi ha meno di trenta anni. Non ci resta che aspettare, prima o poi il grigio arriverà anche per noi e, con lui, le chiavi d’accesso ai piani che contano. Nel frattempo, che facciamo? Sono indeciso: bamboccione o precario, bamboccione o precario...



giovedì 15 gennaio 2009

17Re

Mentre sulla banale stampa fiorentina non si parla d’altro, vorreste sapere perché non scrivo, non parlo, non dico delle ormai “famigerate” primarie Piddì per la corsa alla poltrona di Sindaco di Firenze?
La risposta è semplice: perché non me ne frega nulla. Eppure lo so che dovrebbe appassionarmi. Che questa roba, questa saga, questo affaire, lo so che rappresenta una vera e propria manna per il cronista politico. Pagine e pagine sulle ultime uscite del Sindaco, di Chiti, di Renzi, di Cioni, di Lastri, di Pistelli, di Veltroni, di Albini, di Dio, di Jesus, di Licia Colò. Articoli che si scrivono da soli. Interviste, note, appunti: materiale da camparci. E camparci bene. E infatti, da settimane non si parla d’altro: primarie sì primarie no, di partito o coalizione, ballottaggio e turno unico, ispettori e vigilanti, osservatori e osservanti. Fuochi d’artificio!
Eppure, scusate, ma a me, personalmente, continua a non fregarmene nulla. Cerco di appassionarmi, giuro: ci provo con tutte le mie forze. Ma niente. Nulla, neanche un piccolo sobbalzo di sorpresa. Al limite, un qualche moto di pietas. Per i lettori, più che altro: possibile che, mentre il mondo, l’Italia, la Toscana e Firenze, stanno barcollando sul precipizio di una crisi economica senza paragoni, le pagine dei giornali siano intente solo a raccontare del sì di Renzi, del no di Lastri, del forse di Spini?
Scusatemi, davvero, chiedo perdono in ginocchio e affido la mia anima irriconoscente alle mani caritatevoli di sua maestà sacra la Dea Politique, ma davvero, lo giuro: non me ne frega nulla. Nada. Zero.
Dirò di più: in situazioni come queste, che sfiorano il ridicolo, trovo che il compito della stampa, soprattutto cittadina, più che informare sia infamare. Mi spiego. Non sono d’accordo che la migliore stampa possibile sia quella fredda e distaccata, che alcuni chiamano “modello anglosassone”. In primo luogo perché non esiste, in secondo luogo perché, in certi casi e in particolare in questo caso, riterrei fondamentale che un coraggioso cronista si alzasse in piedi durante una delle diecimila seriosissime conferenze stampa targate PD Firenze e, sorridendo, chiedesse con voce chiara: «Scusate, signori, ma... Non pensate di essere ridicoli?».
Invece la mia stessa categoria preferisce partecipare alla solenne sceneggiata e fare la sua parte.

Complimenti. Ma, scusatemi, perdono, scusatemi davvero, ma io continuo a sbattermene.

lunedì 12 gennaio 2009

Tra ragione e torto, c'è di mezzo il morto



Non che sia semplice, ma ogni tanto ci provo. E no, più che ci provo, e più che mi rendo conto che non solo non è semplice, ma che addirittura è quasi impossibile. Quasi senza quasi.
Capire chi ha ragione e chi ha torto è un esercizio intellettuale, prima che pratico. In alcuni casi, non è difficile. Almeno a primo impatto. Perché poi, se uno ci si vuol spremere un po’, nota variabili, postille, sfumature. E allora il giudizio non è più così netto. I confini si fanno più labili, il dubbio s’insinua, il cane si morde la coda. Nel mentre, nel frattempo, il problema persiste, insiste, si aggrava e si dipana.
Ragionare del sesso degli angeli era lo sport preferito mentre i comunisti mangiabambini invadevano i Paesi dell’Est europeo. E, alla fine, del sesso degli angeli se ne sa quanto prima se non meno; sempre nel frattempo, l’Unione Sovietica aveva invaso, ucciso, si era eclissata, era sparita.

Chi sostiene che Israele ha ragione, sbaglia. Chi sostiene che ha ragione Hamas, sbaglia. Quello che più fa incazzare, di tutti questi liberi sostenitori, è che ognuno sostiene qualcosa. E lo fa con toni tipici del depositario della verità. Lo sappiamo, lo sappiamo bene che in fondo quello è il mestiere più antico del mondo: far credere di sapere, far credere di essere in grado, far credere. Un po’ come una vecchia puttana egizia, o bizantina, o romana o greca o di oggi, che si vende come ciò che non è per far credere di avere ciò che non si ha.
Chi ha ragione, insomma, Israele o Hamas? Guardando le immagini in tv (poche) e sui giornali (un po’ di più) di bambini morti, i cui visi dilaniati e deformati dalle esplosioni, rotti, sanguinolenti, così orribili da non sembrare reali, guardando a queste istantanee dall’inferno non si può che sostenere la causa palestinese. La classica simpatia, o dovremmo chiamarla “empatia scaramantica”, che nasce spontanea verso il debole, l’impotente, verso chi soffre, e il classico odio verso il prepotente, l’arrogante, il potere. Sentimenti classici perché umani, perché il carnefice è il male, la vittima è il bene. E il tutto in quanto tali, perché i ruoli sono quelli. A volte, penso che sia semplicemente perché dev’essere così.
Tuttavia, vediamo donne e uomini piangere nelle strade di città israeliane di confine, quando un kamikaze si fa saltare, quando un missile esplode in mezzo a una strada. Ed in quel caso, i ruoli si ribaltano. La vittima diventa l’arrogante e prepotente, nonché invisibile, carnefice. Fino alla reazione israeliana. E così via, in un gioco infinito di ribaltamenti e di intrecci, un infinito imbroglio. Infinito almeno fino ad oggi.

Chi ha ragione e chi ha torto tra le due parti? Io non lo so. A differenza del 98,8% degli esseri umani viventi o recentemente defunti, io non lo so, non ne ho idea.
Quello che so è che le parti non sono solo due. Le parti in gioco sono molte, molte di più. Alcune si sanno e sono i soliti noti: americani, iraniani, siriani e così via. Con qualche new entry: vedi, Cina. Altri no, altri non si sanno, ma si immaginano: petrolieri, trafficanti d’armi, di droga e di chissà cos’altro. Ognuno con le sue diplomazie, ufficiali e ufficiose, segrete e manifeste. Una partita a scacchi a più mani, che si gioca sulla scacchiera insanguinata della Striscia di Gaza.
Chi ha ragione? Chi ha torto? Il fior fiore degli “esperti internazionali” sostiene che Hamas è il problema, pur essendo una forza eletta democraticamente. Beh, rispondono i filoisraeliani, anche Hitler fu eletto democraticamente.
Solita storia, insomma. Prova a dire qualcosa contro Israele e sei un seguace di Hitler.
Prova a muovere una critica a Israele, A ISRAELE, non agli ebrei, bensì a ISRAELE, e sicuramente sei uno che sta allestendo dei forni crematori perché odi gli ebrei e stai riorganizzando l’Olocausto. Vabbè.

Io non lo so se serve capire chi ha ragione e chi ha torto tra le due (o più) parti. Immagino che per arrivare a una soluzione, sì, sarebbe importante. La prima mossa da fare.
Tuttavia, immagino che per capire si dovrebbe sapere. Conoscere le cose. E non penso che ci sia qualcuno che può. Forse Dio può. Non so se quello degli ebrei o degli islamici, ma magari uno di tutti questi Dei ha una visione ampia e completa. Forse non resta che aspettare che intervenga, con tanto di tipico cocchio di cavalli alati e fulmine alla mano. Vedilo come un intervento risolutorio che rimette un po’ di cose al loro posto, se ti va.
Ma se guardiamo ai precedenti, non pare sia questa la scelta più opportuna: negli ultimi duemila anni, gli interventi divini di questo tipo sono davvero pochi. Prima, magari, qualcosina in più, tra Sodoma e Gomorra, piaghe d’Egitto et similia. Ma ora no. Siamo noiosi. Sempre guerre, guerre. Alla fine è logico che Issignore Iddio si stanchi di scendere dal suo attico per farci fare la pace. C’è da comprenderlo, insomma.
Scartando questa ipotesi, dunque, come agiamo? Che facciamo? Cerchiamo di capire chi ha ragione e chi ha torto, se la forza usata è proporzionata oppure no, se è un intervento utile oppure no, due popoli e due stati, tre popoli e quattro locali, un missile sparato e i viveri che non ci sono, cerchiamo di capire, ci interroghiamo, riflettiamo, ci sdegnamo davanti ai bambini morti?

Ognuno ha il suo ruolo. Il cattivo dev’essere cattivo e spietato. La vittima deve fare pena. Il buono vince ma non troppo. Le vittime muoiono.
Noi, intanto, ci interroghiamo dal 1967, e, ancora, non ci si è capito un cazzo nessuno.



O più probabilmente, ci si è capito tutto, tutti. Tutti, tranne i bambini di Gaza.



mercoledì 7 gennaio 2009

Cattivi pensieri

Stavo pensando: certo che far fare la pace a israeliani e palestinesi è un po’ come far fare la pace a americani e iraniani.