Non che sia semplice, ma ogni tanto ci provo. E no, più che ci provo, e più che mi rendo conto che non solo non è semplice, ma che addirittura è quasi impossibile. Quasi senza quasi.
Capire chi ha ragione e chi ha torto è un esercizio intellettuale, prima che pratico. In alcuni casi, non è difficile. Almeno a primo impatto. Perché poi, se uno ci si vuol spremere un po’, nota variabili, postille, sfumature. E allora il giudizio non è più così netto. I confini si fanno più labili, il dubbio s’insinua, il cane si morde la coda. Nel mentre, nel frattempo, il problema persiste, insiste, si aggrava e si dipana.
Ragionare del sesso degli angeli era lo sport preferito mentre i comunisti mangiabambini invadevano i Paesi dell’Est europeo. E, alla fine, del sesso degli angeli se ne sa quanto prima se non meno; sempre nel frattempo, l’Unione Sovietica aveva invaso, ucciso, si era eclissata, era sparita.
Chi sostiene che Israele ha ragione, sbaglia. Chi sostiene che ha ragione Hamas, sbaglia. Quello che più fa incazzare, di tutti questi liberi sostenitori, è che ognuno sostiene qualcosa. E lo fa con toni tipici del depositario della verità. Lo sappiamo, lo sappiamo bene che in fondo quello è il mestiere più antico del mondo: far credere di sapere, far credere di essere in grado, far credere. Un po’ come una vecchia puttana egizia, o bizantina, o romana o greca o di oggi, che si vende come ciò che non è per far credere di avere ciò che non si ha.
Chi ha ragione, insomma, Israele o Hamas? Guardando le immagini in tv (poche) e sui giornali (un po’ di più) di bambini morti, i cui visi dilaniati e deformati dalle esplosioni, rotti, sanguinolenti, così orribili da non sembrare reali, guardando a queste istantanee dall’inferno non si può che sostenere la causa palestinese. La classica simpatia, o dovremmo chiamarla “empatia scaramantica”, che nasce spontanea verso il debole, l’impotente, verso chi soffre, e il classico odio verso il prepotente, l’arrogante, il potere. Sentimenti classici perché umani, perché il carnefice è il male, la vittima è il bene. E il tutto in quanto tali, perché i ruoli sono quelli. A volte, penso che sia semplicemente perché dev’essere così.
Tuttavia, vediamo donne e uomini piangere nelle strade di città israeliane di confine, quando un kamikaze si fa saltare, quando un missile esplode in mezzo a una strada. Ed in quel caso, i ruoli si ribaltano. La vittima diventa l’arrogante e prepotente, nonché invisibile, carnefice. Fino alla reazione israeliana. E così via, in un gioco infinito di ribaltamenti e di intrecci, un infinito imbroglio. Infinito almeno fino ad oggi.
Chi ha ragione e chi ha torto tra le due parti? Io non lo so. A differenza del 98,8% degli esseri umani viventi o recentemente defunti, io non lo so, non ne ho idea.
Quello che so è che le parti non sono solo due. Le parti in gioco sono molte, molte di più. Alcune si sanno e sono i soliti noti: americani, iraniani, siriani e così via. Con qualche new entry: vedi, Cina. Altri no, altri non si sanno, ma si immaginano: petrolieri, trafficanti d’armi, di droga e di chissà cos’altro. Ognuno con le sue diplomazie, ufficiali e ufficiose, segrete e manifeste. Una partita a scacchi a più mani, che si gioca sulla scacchiera insanguinata della Striscia di Gaza.
Chi ha ragione? Chi ha torto? Il fior fiore degli “esperti internazionali” sostiene che Hamas è il problema, pur essendo una forza eletta democraticamente. Beh, rispondono i filoisraeliani, anche Hitler fu eletto democraticamente.
Solita storia, insomma. Prova a dire qualcosa contro Israele e sei un seguace di Hitler.
Prova a muovere una critica a Israele, A ISRAELE, non agli ebrei, bensì a ISRAELE, e sicuramente sei uno che sta allestendo dei forni crematori perché odi gli ebrei e stai riorganizzando l’Olocausto. Vabbè.
Io non lo so se serve capire chi ha ragione e chi ha torto tra le due (o più) parti. Immagino che per arrivare a una soluzione, sì, sarebbe importante. La prima mossa da fare.
Tuttavia, immagino che per capire si dovrebbe sapere. Conoscere le cose. E non penso che ci sia qualcuno che può. Forse Dio può. Non so se quello degli ebrei o degli islamici, ma magari uno di tutti questi Dei ha una visione ampia e completa. Forse non resta che aspettare che intervenga, con tanto di tipico cocchio di cavalli alati e fulmine alla mano. Vedilo come un intervento risolutorio che rimette un po’ di cose al loro posto, se ti va.
Ma se guardiamo ai precedenti, non pare sia questa la scelta più opportuna: negli ultimi duemila anni, gli interventi divini di questo tipo sono davvero pochi. Prima, magari, qualcosina in più, tra Sodoma e Gomorra, piaghe d’Egitto et similia. Ma ora no. Siamo noiosi. Sempre guerre, guerre. Alla fine è logico che Issignore Iddio si stanchi di scendere dal suo attico per farci fare la pace. C’è da comprenderlo, insomma.
Scartando questa ipotesi, dunque, come agiamo? Che facciamo? Cerchiamo di capire chi ha ragione e chi ha torto, se la forza usata è proporzionata oppure no, se è un intervento utile oppure no, due popoli e due stati, tre popoli e quattro locali, un missile sparato e i viveri che non ci sono, cerchiamo di capire, ci interroghiamo, riflettiamo, ci sdegnamo davanti ai bambini morti?
Ognuno ha il suo ruolo. Il cattivo dev’essere cattivo e spietato. La vittima deve fare pena. Il buono vince ma non troppo. Le vittime muoiono.
Noi, intanto, ci interroghiamo dal 1967, e, ancora, non ci si è capito un cazzo nessuno.
O più probabilmente, ci si è capito tutto, tutti. Tutti, tranne i bambini di Gaza.