E pure questa è andata. Bella presentazione, ieri, in Palazzo Vecchio. C'era gente, nonostante una grandinata inverosimile a mezzora dall'inizio. Di quelle che stroncano le gambe, e che ti ci fanno pensare un milione di volte prima di uscire di casa. Mettici pure che è più facile arrivare a Timbuctù che nel centro del centro di Firenze. Ma a parte questo, tutto bello.
Doveroso ringraziare Roberta Capanni, Alessia e Loretta del MIO editore, Romano Editore. E poi Federico Gelli, Piero Luigi Vigna, Giorgio Morales, Eugenio Giani, Margherita Ghiandelli, Giovanna Maggiani Chelli, che tante belle parole su me ed il mio libro mi hanno voluto regalare. Grazie a Mario Spezi. Grazie al Comune di Firenze. Grazie all'associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, grazie a Patrizia e a Luigi, grazie a Walter. Grazie a tutti quelli che sono venuti ad ascoltarci e che avranno la pazienza e la curiosità di leggere questo umile capolavoro che è il mio libro, "E' già sera".
In questi giorni di interviste a radio, televisioni e giornali, c'è una domanda che ancora nessuno mi ha rivolto. Sfrutto quindi il mio imbarazzante conflitto d'interessi e, in veste di giornalista, chiedo a me stesso, in veste di scrittore: secondo te, vale la pena di combattere una guerra persa in partenza?
La mia risposta è sì. La mia risposta è che il valore di una battaglia culturale, intellettuale, sociale, sta nella battaglia stessa, non tanto nell'esito che essa avrà. Certo, sarebbe bellissimo sapere che si scrive un libro sulla mafia o su qualsiasi altro aspetto che non va, e tutto va a posto. Purtroppo le cose non stanno così. Eppure, io credo che si debba avere la spregiudicatezza di combattere. Anche se non servirà, o servirà poco. La battaglia è il fine, da questo punto di vista, non il mezzo. Credo che ognuno dovrebbe avere il coraggio di fare qualcosa. Qualcosa che non sia sperare che sia sempre qualcun'altro a giocarsi tutto. Siamo pronti ad ammirare gli altri, mai a muoverci in prima persona.
Perché? Perché non concepiamo più il sacrificio per qualcosa in cui crediamo. Perché l'unico sacrificio è quello per il nostro orticello. Fuori dal nostro steccato, al limite, gettiamo qualche parola. Solo questo. E invece no. Invece dobbiamo tornare a credere. Dobbiamo avere il coraggio di capire che siamo parte di qualcosa di più del nostro giardinetto del cazzo. Questo è ciò che ho imparato scrivendo il libro. Non voglio insegnare nulla a nessuno, non è il mio compito, sempre se non si parla di insegnare a me stesso. E ho deciso di ascoltare per poi raccontare. Ed è stato ed è bello.
Perché qui sta la vittoria: nella libertà di combattere. La libertà, che è ormai un'etichetta partitica. E che invece è una parola meravigliosa. L'egoismo, l'individualismo, non sono poi così diversi dal concetto di mafia. Ci precludono strade che vorremmo o potremmo percorrere. L'egoismo e la paura ci rendono meno liberi. Combattere una guerra, anche (o forse, soprattutto) persa, è libertà. Perché ho scritto questo libro? Perché sono libero, perché sono un intellettuale, perché ho imparato a nuotare.
"I Beatles hanno insegnato qualcosa? Hanno insegnato a nuotare. E allora... Nuota".