mercoledì 27 gennaio 2010

MEMODAY

Sono sempre stato convinto che fare il giornalista sportivo sarebbe la mia strada. Per la passione oggettiva e non da tifoso verso il pallone e i pallonari, per essere cresciuto a pane e pallone con un padre, il mio, grande esperto. Ma sono sempre stato convinto anche perché la scrittura, pur giornalistiva, in tema di "sport" e soprattutto di calcio, è una scrittura che spesso rasenta la celebrazione dell'eroismo o della caduta, della polvere o della rinascita, attraverso un linguaggio semplice e narrativo che poi, alla fine, più o meno si riduce sempre ai soliti discorsi. Perché questo è ciò che il tifoso si attende da te. Ed è sempre per questo che poi, se c'è qualcuno più bravo degli altri, metti un Brera qualsiasi, assurge a ruolo di letterato, molto più di un Manzoni o di un Pannunzio. Non è una critica, questa. È semplicemente un'osservazione della realtà. Basti vedere, per fare un esempio, come si è modificato negli ultimi anni il linguaggio televisivo: dalle telecronache di Pizzul a quelle epiche di Caressa.
Il calciatore (a volte, l'allenatore) è l'eroe moderno, che si racconta con un linguaggio celebrativo: Achille e Ettore, Gianni e Sandro, Ibra e Dinho...

Questa lunga, reminiscente, tediosa, inutile premessa per dire che ieri sera mi è capitato di vedere per cinque secondi Moggi ospite da Chiambretti.
Oggi è il Giorno della Memoria, una memoria che riguarda certo argomenti più importanti di un Moggi petulante ed offensivo. Un Moggi che pontifica, che adesso diviene il solito, noiosissimo capro espiatorio italiano: quelli che combinavano le partite, ha detto Moggi, sono ancora lì, perché l'Inter si lamenta, quindi io facevo le stesse battaglie di Moratti.
Petulante ed offensivo, odioso come sempre, almeno in pubblico; Moggi che piange davanti ai carabinieri, osservando il suo impero sgretolarsi, non ci si ricorda più, il giorno della memoria è una boutade, nel mondo del pallone.
Tra parentesi: il sempre più servile Chiambretti assecondava ogni esternazione di Moggi manco fosse Padre Pio. Anzi, più che assecondare, sosteneva con dei convinti "certo", "certamente", "ovvio", "è così".

Ci siamo già dimenticati tutto?
Sì. Perché ieri mica era il Giorno della Memoria. E nemmeno domani.