mercoledì 22 dicembre 2010

Nel nome del politico


Uno ce la mette tutta per non essere populista, anche se, a dire il vero, non ho mai capito come un popolano possa essere populista. Ma a parte questo: uno ce la mette tutta, almeno io lo faccio. Perché verrebbe voglia di dire che la politica fa schifo, che sono tutti uguali e via dicendo. Affermazioni in parte vere ed in parte no, slogan triti e ritriti. Sennò che populismo sarebbe. Ma c'è una cosa che mi dà ai nervi. Giuro. C'è una cosa che mi fa proprio perdere la testa, ragazzi.

Questa cosa è: chiamare per nome i politici.
Leggo sui giornali un continuo Silvio, Gianfranco, Umberto, Stefania, Walter, Massimo.
Ed ogni volta che leggo mi viene da pensare: ma perché?
Certo, ci penso. E quando ci penso, so che non è giornalismo, questo. Non voglio dire che ogni volta uno debba dire: il presidente del consiglio dei ministri onorevole Silvio Berlusconi, o il presidente della camera dei deputati onorevole Gianfranco Fini. Berlusconi. Fini. A me basterebbe così, mi piacerebbe proprio se fosse così.
Invence no, non è giornalismo. Chiamare uno per nome te lo fa sentire vicino, come se fosse una persona che conosci. Un tuo amico, insomma. Ecco. Ogni volta che leggo Silvio e che vedo quella faccia di catrame, penso che qualcuno crede che sì, è uno di noi, nonostante sia l'uomo più ricco e potente d'Italia, è Silvio, vedi?, è uno di noi. Tant'è vero che lo chiamiamo per nome.

A me questa cosa mi fa davvero ridere. Giuro.

Poi faccio un passettino più in là.
Come mai non leggo mai Pierluigi o Antonio?
Leggo Nicki. Leggo Matteo. Ma Pierluigi e Antonio, per dire, non l'ho mai letti.
Vorrei capire perché.
Il problema è che ho paura di capirlo, e quindi faccio finta di nulla: in fondo, non è importante. Forse.