Passando davanti alla Saschall gli scorsi 10, 11 e 12 ottobre, forse qualcuno avrà pensato: toh, ma guarda bellini, i partigiani! Sarà una specie di festa del liceo... vino buono, brindando ai vecchi tempi!
Le impressioni del distratto passante magari si sarebbero rafforzate leggendo le parole sui manifesti esterni. Parole desuete, quasi antiche, come “Resistenza”. “Costituzione”. “Liberazione”. Roba d’altri tempi, insomma: che tenerezza! E che simpatici tutti quei vecchietti!
Forse il nostro fantomatico passante, affascinato, ha deciso di entrare. Tanto per dare un’occhiata. Sai com’è, magari si rimedia un bel panino col salame. E un bicchiere di vino. Di quello buono, s’intende.
Se avesse deciso di farlo, sarebbe rimasto molto sorpreso.
Entrando nell’ex Teatro Tenda, avrebbe trovato un’atmosfera ruvidamente amichevole. Come quando un amico ti abbraccia in modo troppo energico, quasi da farti male, ma tu senti che quello è un gesto sincero. Pulito. E diretto.
Qualcosa come: qui non siamo a circuire nessuno. Qui non si chiacchera a vanvera. Qui si parla di cose serie. E in modo serio. Perché per queste cose, tanti di noi sono morti.
Con ogni probabilità, il nostro passante sarebbe stato attratto dai banchi delle associazioni di volontariato disposti lungo il perimetro circolare della sala inferiore; e se avesse alzato gli occhi verso la “galleria”, forse si sarebbe emozionato vedendo i drappi, le bandiere, gli stendardi dei gruppi partigiani strappati, sbiaditi, ricuciti, carichi di storia e di storie.
Forse sarebbe rimasto affascinato dalle foto, dalle testimonianze scritte. Dalla sobrietà dell’ambiente: quasi scarno, punto ridondante. Magari avrebbe realizzato che lì, in quel posto, non c’era affatto quel sapore di autocelebrazione che si sarebbe aspettato.
Chissà, forse si sarebbe guardato intorno chiedendosi: ma insomma, che succede qui?
Lo immaginiamo, il nostro ormai “ex-passante”, con questo punto interrogativo sulla testa che si siede in una delle poltroncine di platea, attirato dalle persone a cui finora non aveva badato e che invece si stanno accalorando in una discussione lassù, sul palco, sotto i riflettori. Beh, ascoltiamo cinque minuti poi me ne vado, magari; si sa che i partigiani hanno sempre belle storie da raccontare, dopotutto...
Avrebbe capito, dopo pochi secondi, che la sua prima impressione, quella di una “rimpatriata”, era quanto di più lontano dalla realtà.
Cosa sono stati i tre giorni della prima festa toscana dell’ANPI? È difficile etichettare un’iniziativa di questo genere sotto un nome solo, tuttavia, a dispetto di ciò che il nostro passante immaginario abbia potuto pensare, una parola sola può racchiudere un po’ tutto: attualità.
Sono gli stessi membri dell’ANPI che forse vorrebbero far rimpatriate periodiche. E, come un vecchio artigiano che dopo “sangue e sudore” si siede e ammira il suo lavoro senza nascondere un sorriso di soddisfazione, guardare quell’Italia nata –anche e soprattutto- dal loro sacrificio che segue la strada sognata in tante notti di freddo e fame in montagna e scritta nella Costituzione.
A distanza di sessanta anni, purtroppo le cose non sono andate come avevano immaginato. Ed è per senso del dovere, per rispetto per se stessi e per i propri ideali, che i partigiani non possono permettersi di abbassare la guardia.
Non abbassare la guardia. La “nuova” Resistenza passa anche per un’opera di sensibilizzazione che per tre giorni si è dipanata attraverso concerti, proiezioni, rappresentazioni teatrali, laboratori, tavole rotonde, a cui hanno partecipato partigiani, membri di associazioni e comitati, giornalisti, studiosi, politologi, costituzionalisti, autorità, storici, registi, dirigenti scolastici, scrittori con interventi ora emozionanti, ora tecnici, ora politici.
Lasciando la Saschall, il nostro ex passante avrebbe avuto le idee più chiare sul significato di quello che gli accade intorno nell’Italia di oggi. Tornando verso casa avrebbe cercato di riflettere su alcuni “dettagli”.
Perché dopo sessanta anni la Costituzione non è ancora attuata, in tanti ambiti importanti come il lavoro, come la guerra, come molti dei diritti?
Perché la Liberazione non è vissuta come patrimonio condiviso dagli italiani ma continua a essere oggetto di scontro politico?
Perché, se “Liberazione” viene da “Libertà”, di quel “Popolo della suddetta” in certe occasioni non si presenta mai nessun rappresentante?
Perché il capo del Popolo della Libertà non ha mai partecipato neanche in veste ufficiale ad una Festa del Venticinque Aprile?
Domande che potrebbero turbare la nostra tranquilla e italica esistenza medioborghese. Ma ormai, i nostri “fantomatici passanti” hanno imparato il trucco: basta non pensarci. The trick is not to care. A casa, tanto, ci sono un abbondante piatto di spaghetti e una tv accesa ad aspettarci. Se poi un giorno non ci saranno più, e sempre se si è in tempo, si vedrà cosa fare. Semmai.
Le impressioni del distratto passante magari si sarebbero rafforzate leggendo le parole sui manifesti esterni. Parole desuete, quasi antiche, come “Resistenza”. “Costituzione”. “Liberazione”. Roba d’altri tempi, insomma: che tenerezza! E che simpatici tutti quei vecchietti!
Forse il nostro fantomatico passante, affascinato, ha deciso di entrare. Tanto per dare un’occhiata. Sai com’è, magari si rimedia un bel panino col salame. E un bicchiere di vino. Di quello buono, s’intende.
Se avesse deciso di farlo, sarebbe rimasto molto sorpreso.
Entrando nell’ex Teatro Tenda, avrebbe trovato un’atmosfera ruvidamente amichevole. Come quando un amico ti abbraccia in modo troppo energico, quasi da farti male, ma tu senti che quello è un gesto sincero. Pulito. E diretto.
Qualcosa come: qui non siamo a circuire nessuno. Qui non si chiacchera a vanvera. Qui si parla di cose serie. E in modo serio. Perché per queste cose, tanti di noi sono morti.
Con ogni probabilità, il nostro passante sarebbe stato attratto dai banchi delle associazioni di volontariato disposti lungo il perimetro circolare della sala inferiore; e se avesse alzato gli occhi verso la “galleria”, forse si sarebbe emozionato vedendo i drappi, le bandiere, gli stendardi dei gruppi partigiani strappati, sbiaditi, ricuciti, carichi di storia e di storie.
Forse sarebbe rimasto affascinato dalle foto, dalle testimonianze scritte. Dalla sobrietà dell’ambiente: quasi scarno, punto ridondante. Magari avrebbe realizzato che lì, in quel posto, non c’era affatto quel sapore di autocelebrazione che si sarebbe aspettato.
Chissà, forse si sarebbe guardato intorno chiedendosi: ma insomma, che succede qui?
Lo immaginiamo, il nostro ormai “ex-passante”, con questo punto interrogativo sulla testa che si siede in una delle poltroncine di platea, attirato dalle persone a cui finora non aveva badato e che invece si stanno accalorando in una discussione lassù, sul palco, sotto i riflettori. Beh, ascoltiamo cinque minuti poi me ne vado, magari; si sa che i partigiani hanno sempre belle storie da raccontare, dopotutto...
Avrebbe capito, dopo pochi secondi, che la sua prima impressione, quella di una “rimpatriata”, era quanto di più lontano dalla realtà.
Cosa sono stati i tre giorni della prima festa toscana dell’ANPI? È difficile etichettare un’iniziativa di questo genere sotto un nome solo, tuttavia, a dispetto di ciò che il nostro passante immaginario abbia potuto pensare, una parola sola può racchiudere un po’ tutto: attualità.
Sono gli stessi membri dell’ANPI che forse vorrebbero far rimpatriate periodiche. E, come un vecchio artigiano che dopo “sangue e sudore” si siede e ammira il suo lavoro senza nascondere un sorriso di soddisfazione, guardare quell’Italia nata –anche e soprattutto- dal loro sacrificio che segue la strada sognata in tante notti di freddo e fame in montagna e scritta nella Costituzione.
A distanza di sessanta anni, purtroppo le cose non sono andate come avevano immaginato. Ed è per senso del dovere, per rispetto per se stessi e per i propri ideali, che i partigiani non possono permettersi di abbassare la guardia.
Non abbassare la guardia. La “nuova” Resistenza passa anche per un’opera di sensibilizzazione che per tre giorni si è dipanata attraverso concerti, proiezioni, rappresentazioni teatrali, laboratori, tavole rotonde, a cui hanno partecipato partigiani, membri di associazioni e comitati, giornalisti, studiosi, politologi, costituzionalisti, autorità, storici, registi, dirigenti scolastici, scrittori con interventi ora emozionanti, ora tecnici, ora politici.
Lasciando la Saschall, il nostro ex passante avrebbe avuto le idee più chiare sul significato di quello che gli accade intorno nell’Italia di oggi. Tornando verso casa avrebbe cercato di riflettere su alcuni “dettagli”.
Perché dopo sessanta anni la Costituzione non è ancora attuata, in tanti ambiti importanti come il lavoro, come la guerra, come molti dei diritti?
Perché la Liberazione non è vissuta come patrimonio condiviso dagli italiani ma continua a essere oggetto di scontro politico?
Perché, se “Liberazione” viene da “Libertà”, di quel “Popolo della suddetta” in certe occasioni non si presenta mai nessun rappresentante?
Perché il capo del Popolo della Libertà non ha mai partecipato neanche in veste ufficiale ad una Festa del Venticinque Aprile?
Domande che potrebbero turbare la nostra tranquilla e italica esistenza medioborghese. Ma ormai, i nostri “fantomatici passanti” hanno imparato il trucco: basta non pensarci. The trick is not to care. A casa, tanto, ci sono un abbondante piatto di spaghetti e una tv accesa ad aspettarci. Se poi un giorno non ci saranno più, e sempre se si è in tempo, si vedrà cosa fare. Semmai.