venerdì 5 dicembre 2008

CASTAWAY


Casta. Caste. Lobby. Arti e mestieri. Sindacati. Partiti. Ordini professionali. La storia del nostro paese, fin dai suoi albori, si fonda su centri di potere. Legittimati nel corso degli anni, soprattutto durante il radioso ventennio del fascio littorio. E rimasti immutati, intoccati, intoccabili.
Un paio d’anni or sono, ho tentato di spiegare a un mio parente americano, giornalista, che per fare il giornalista in Italia non ci sono scuole, università, corsi. No, per fare il giornalista devi essere un giornalista. E per essere un giornalista devi far parte dell’Ordine dei Giornalisti. E per entrare a far parte dell’Ordine dei Giornalisti, devi aver fatto il giornalista senza essere un giornalista per due anni o giù di lì.
Il mio parente non mi capiva. Io pensavo che il mio inglese maccheronico distorcesse il discorso. Poi, invece, è stato il mio arguto cugino stellestrisciato a far capire a me che là, negli iu-es-ei, non solo non esistono Ordini e Albi per i giornalisti: non esiste nemmeno una parola che traduca ste robe. Il concetto stesso era difficile da comprendere.
A cosa servono gli Ordini? A regolare l’accesso a professioni di rilievo. Ok. A controllare la professionalità dei professionisti. La loro aderenza etica ai principi e ai valori e bla bla. E ok anche qui.
Verrebbe da pensare: porca miseria, è bene che sia così, in un paese come l’Italia, più controlli ci sono e meglio è. Sennò, sai questi giornalisti, di parte, assoldati, interessati: avrebbero mano libera, scriverebbero tutto ciò che gli fa comodo. A loro e a chi per loro. No, no, meglio così. Perché è vero che può starci l’errore. Ma chi sbaglia, anche se in buona fede, deve pagare perché non si ripeta. E se l’errore è commesso in malafede, per interesse o per finalità, ancora peggio.
Perché è vero che se sbaglia un architetto e casca una casa, ci sono i morti. Ma una campagna di stampa è in grado di rovinare la vita delle persone, con effetti anche mortali. E’ in grado di spostare voti. E’ in grado di direzionarli. Di creare consenso, o dissenso, di introdurre dubbi. Questi sono i compiti per cui nasce la stampa. E l’Ordine professionale “dovrebbe” vigilare che questo avvenga in modo etico, aderente alla realtà, ma soprattutto nel solo interesse del lettore. In una parola: onestamente.
Se una campagna di stampa, o anche un solo articolo, è sbagliato, falso, volutamente lesivo e così via, la missione, la ragion d’essere stessa della stampa viene meno. L’Ordine, in questo caso, dovrebbe intervenire. A salvaguardia dell’onorabilità e dell’autorevolezza della stampa tutta, e, in ultima istanza, del lettore, che magari ha votato, comprato, insultato qualcuno o qualcosa su tali basi. Dovrebbe intervenire radiando e non permettendo di continuare a far danni a queste “penne” al servizio di altri.
Dovrebbe.
Nel momento in cui un quotidiano come “Il Giornale” lancia accuse pesantissime su esponenti di uno schieramento politico, costruendo campagne di “odio a mezzo stampa” che in seguito risultano puntualmente non solo false, ma falsificate; nel momento in cui Renato Farina ammette di essere una spia al servizio di qualcuno; nel momento in cui il direttore de “La Nazione” viene beccato con le mani nel sacco, anzi, con la penna nella saccoccia (di Ligresti); nel momento in cui accade tutto questo e l’Ordine mai, mai, mai interviene... Come si giustifica, allora, la sua esistenza?
La risposta più plausibile è una: non si giustifica. In questi termini, almeno.
Oppure, si giustifica solo se si entra a farne parte perché grazie a quella tessera puoi definirti “Giornalista”, puoi entrare gratis ai musei e alle mostre, avere lo sconto del 10% sui treni.
Ognuno di noi impara a odiare le caste. Le lobby. Gli ordini professionali.
Basta che abbiano una caratteristica: che non siano quelli a cui apparteniamo noi stessi.