martedì 12 maggio 2009

Vita e morte ai tempi di Facebook


La storia è questa. Un ragazzo uccide una ragazza e poi si uccide. In mezzo a un bosco. No, su una strada sterrata in mezzo a un lecceto, o a un faggeto. Forse, sono castagni. È una striscia bianca polverosa, chiazzata di rosso vivo, che taglia un verde brillante e immobile. Non ci sono respiri nell'aria. Ci sono state grida. Nessuno le ha sentite. Se non quei faggi. O quei castagni. Un ragazzo uccide una ragazza. No, non una ragazza. La sua ragazza. Una vita non esiste più. Due vite, non sono più.

Questa è la storia. Una storia su cui in mille stanno scrivendo articoli o registrando servizi, con musiche di sottofondo. Chissà perché, chi viene ammazzato ascoltava sempre Vasco Rossi. Questa è la storia di due vite che non esistono più e che offrono, adesso, ora che non esistono più, appoggiate così inermi e polverose su un vassoio forse d'argento, spunti per lacrime false, esercizi stilistici, coccodrilli, così va il mondo, l'amore.

Questo è, questo è sempre stato: abbiamo deciso che in fondo la storia è tenera e allora piangiamo. Chi ha deciso? Lei, Giulia, credo di no. Amore, vita, passione, gelosia. Questa è un'altra storia. Questa è una storia di un malato di mente che ammazza una poveraccia di 22 anni. Non c'è nulla di romantico. Non c'è nulla di poetico.

Non c'è nulla di commovente nello spiare, profilare, rintracciare due vite attraverso Facebook, cercando e scavando tra le frasi e i messaggi, tra i nomignoli e gli "stati: fidanzata" e che giorno invece lo stato era "non fidanzata". Non mi commuove. Mi fa rabbia. Ridurre una vita alla strofa di una canzone. Etichettare un'esistenza con una frase fatta. Polli in bella mostra nella vetrina del macellaio, tanti polli con certificato: odio Berlusconi, odio questo, ma amo la pasta alla carbonara e il gelato.

Ecco perché non mi troverete mai su Facebook, né in altri immensi archivi digitali di vite unificate. Probabilmente, ecco perché non infilerò mai una lama nei colli altrui. E nemmeno nel mio. Al limite, se proprio dovessi farlo, avremo la decenza di chiamarmi per quello che sono: assassino. Senza Vasco Rossi in sottofondo.