Stamani, quando mi sono svegliato, il primo pensiero è stato: e ora, sono guai. Avevo paura di uscire di casa, stamani. Di aprire la finestra. Di affacciarmi su un mondo che, dopo la bocciatura della Legge Alfano che avrebbe dovuto istituire per legge la non uguaglianza davanti alla legge, non sarebbe stato più come prima.
Ero terrorizzato. Così intimorito da rintanarmi sotto le coperte. Da coprirmi la faccia per non vedere. Da coprirmi le orecchie per non sentire. E così, in questa posizione fetale, mi sono prefigurato catastrofi su catastrofi, miserie e macerie. Siccome non ho potuto seguire la telecronaca, ieri, ho pensato che, sicuramente, chi è stato danneggiato da questa sentenza starà dando fuori di testa.
Più che me ne stavo rincantucciato, più che i pensieri divenivano traumatici. Chissà cosa sta succedendo là fuori. Chissà come sta dando di testa chi ha perso l’immunità giustamente stabilita. Chissà com’è furioso Napolitano, la più alta carica dello Stato e quindi primo beneficiario della Legge Alfano. Chissà com’è furioso Schifani, seconda carica (o caricatura, non si è ben capito) dello Stato. Fini, poi, avrà passato la notte con giornalisti e portavoce per istruirli su dove sistemate le virgole tra un’offesa e l’altra.
C’è solo un sentimento che riesce a tranquillizzarmi. Almeno un po’. E che mi fa scivolare fuori dal mio letto-fortino. È la fiducia che nutro nel presidente del consiglio. Che poi manco sarebbe un’alta carica. Ma che, nonostante questo, con la consueta generosità si batte per i diritti dei deboli e dei poveri che lui orgogliosamente rappresenta. Saprà certo gestire con la delicata serenità del Giusto, con l’equilibrio armonioso che lo ha sempre contraddistinto e per cui anche secondo me meriterebbe il Nobel per chi Tace, questa fase in cui è stato trascinato suo malgrado.
Mi vesto. Faccio colazione. Ancora tremante, ma solo un po’. Il terrore mi attanaglia ancora, giù, alle caviglie. I passi si fanno pesanti. Mi faccio il segno della croce più per scaramanzia che per religiosità, dato che anche il 72% dei tredici dell’ultima cena era di sinistra. Quindi, golpista. Pertanto, non degni della mia fede.
Apro la porta. Pare tutto tranquillo, fuori. Pare. Con enorme circospezione esco. Con abnorme sospettosità salgo in auto. Abitando in una via piuttosto isolata, è logico che ancora qua non siano arrivati, mi dico. Ma mentre innesto la prima, sono certo che mi basterà fare qualche centinaio di metri per imbattermi nell’inferno. Nel ferro e nel fuoco. Nella fine di tutto.
Adesso sono in redazione. Sono arrivato sano e salvo. Sulla mia strada, non ho trovato nessun vecchio gallo con elmetto e ascia bipenne, assetato di sangue che, in quanto rosso, è di sinistra. Probabilmente, il leader peximo dei leghisti non aveva salvato il numero di Asterix sul telefonino. O più probabilmente non ha trovato le chiavi del pollaio.
Nessun vecchio gallo sulla strada. Manco uno dei tanti che dicono castronerie solo perché sono della Loggia. Ho visto solo una pecorella che brancolava solitaria con la coda tra le gambe. Siccome porta fortuna, l’ho salutata con la manina.